“C’è quel tempo in cui era meglio partire .. perché c’è tempo, c’è tempo, c’è tempo per questo mare infinito di gente”, così intonava Ivano Fossati in “C’è tempo”.
Il tempo perso in cerca di opportunità ha fatto capire a quel mare infinito di giovani italiani che, forse, di quel tempo sarebbe stato meglio approfittarne per partire. Le enormi lacune del sistema universitario e lavorativo sembrano essere le principali cause che motivano i nostri giovani italiani a fuggire dal proprio paese. L’ultimo rapporto annuale Eurispes (2012), ci dice infatti che circa sei giovani su dieci tra i diciotto e ventiquattro anni sta considerando l’ipotesi di comprare un biglietto di sola andata.
La nostra partenza è, per certi versi, simile a quella che affrontarono i nostri bisnonni alla volta dell’ “American Dream”. Loro furono parte della diaspora italiana, così come lo siamo noi oggi. Se fosse un set di un film, sostituiremmo le banchine dei porti con le porte scorrevoli e le scale mobili degli aeroporti, e, al posto del fazzoletto bianco sventolato, ci limiteremmo ad una pacca d’incoraggiamento sulla spalla. Pure i nostri genitori hanno smesso di crederci quando, seduti al tavolo in cucina, hanno appoggiato la nostra scelta.
Poco sembra essere cambiato dai tempi in cui i nostri bisnonni salparono per sfuggire ai problemi economici e sociali che non rendevano l’Italia un paese dove coltivare sogni e speranze. Alcuni di loro ritornarono, altri invece portarono con sé quei cognomi italiani oltreoceano. Tutto uguale, se non fosse che al dialetto si sia aggiunto l’italiano, e, all’italiano, l’inglese. Per farla semplice, la ricetta è diventata una sola: valigia, inglese e … via!
Il trend di “expats” è in continuo aumento. Il film documentario “A Girlfriend in a Coma” di Bill Emmott e Annalisa Piras ci racconta che nell’ultimo decennio, un milione di italiani, di cui molti laureati, sono emigrati all’estero. E’ evidente che la migrazione è frutto di un sentimento che va oltre la situazione economico-finanziaria. Del resto, il declino del nostro paese è innegabile agli occhi di tutti, e la condizione attuale è soltanto un’aggravante del declino culturale di un’Italia poco meritocratica.
Di certo le statistiche non sono le uniche a confermare questa tendenza. Basta accomodarsi al secondo piano di un caratteristico double decker londinese per constatare che il numero di italiani sul suolo britannico è davvero spaventoso. C’è chi li distingue dall’abbigliamento modaiolo, chi dall’accento maccheronico e, i più attenti, dai tratti del viso. Ciò che é invece chiaro ai nostri coetanei stranieri é che noi, giovani “Italians”, cerchiamo l’opportunità di riscattarci costruendo un futuro degno della nostra persona. Essi sanno del forte attaccamento alla nostra terra, alle nostre origini e al nostro cibo. Ciò che ancora non sanno è che dietro ad un sorriso ed una birra si nasconde l’amarezza e l’immensa voglia di ritornare, un domani, per costruire un’Italia migliore.
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#arrivederciitalia?