È bello essere smentiti. Nel post di ieri segnalavo l’assenza di Renzi e Veltroni dalla campagna elettorale. Il sindaco di Firenze, ci fa sapere Federico Geremicca sulla “Stampa”, ha in cantiere un cospicuo numero di uscite a sostegno di Bersani, alcune da fare assieme. Veltroni ha avuto seri problemi di salute da cui sta uscendo e gli faccio i miei auguri più affettuosi. Ci sarà anche lui. Sono due buone notizie per il Pd (a parte la sfortuna dannata di Walter).
A squadra completa la partita si farà più interessante. Comunque la si pensi, il fatto che il Pd affronti con tutte le sue risorse umane l’ultima fase dello scontro caratterizza meglio l’attuale dibattito politico. Il dato che emerge è di una semplicità disarmante e dovrebbe interrogare anche chi non voterà per il Pd. La situazione italiana è caratterizzata, guardando il suo sistema politico, da un solo elemento occidentale: la presenza di un partito vero contrapposto a liste dominate da leadership personali. Gli italiani hanno di fronte uno scenario particolare.
Da un lato un partito politico con tutti i suoi guai e difetti che è tuttavia un crogiuolo di personalità che non opprimono la casa comune, dall’altro personaggi che danno vita a formazioni politiche che non dureranno nel tempo. In altri paesi la stabilità è data dall’alternanza, dal contrapporsi di programmi differenti, dall’emergere di leadership la cui vittoria o sconfitta non mette in discussione il soggetto politico.
In Italia la lunga scia del berlusconismo resiste anche perché molti dei suoi oppositori gli fanno da scimmia descrivendosi come uomini della provvidenza. Lo fa Monti che tiene assieme una fragile coalizione elettorale che probabilmente nelle aule del parlamento si scioglierà abbastanza presto. Grillo capeggia una protesta lungamente coltivata che si regge solo sul suo carisma e sui suggerimenti del suo guru ma che non avrà solidità se solo vorrà cimentarsi con i problemi di gestione del paese. Ingroia sta affossando l’antimafia e la magistratura con polemiche che lo vedono contrapposto ad altri magistrati, a uomini e donne che hanno dedicato la vita a combattere il malaffare e le cosche, incrinando l’idea che i magistrati debbano stare fuori dalla mischia, esattamente come hanno fatto tanti suoi colleghi che l’hanno preceduto, ma a differenza di loro trasformandosi in capo di un gruppo marginale che vuole erodere solo i consensi necessari a impedire al centro-sinistra di vincere largamente.
La figura di Ingroia, che oggi ovviamente Travaglio difende sul “Fatto”, esce drammaticamente ridimensionata da questa campagna elettorale. Non sono mai stato un suo ammiratore. Tuttavia non mi aspettavo che scendesse in campagna elettorale abbassandosi in polemiche di dubbio gusto.
Prendete la “lite” con la Boccassini. La magistrata di Milano, che gode di un prestigio maggiore del suo, gli ha contestato l’abuso dei nomi di Falcone e Borsellino come traino per la campagna della Rivoluzione civile. Gli ha contestato un fatto, cioè il paragone fra se medesimo e i due eroi italiani. Ingroia gli ha risposto alludendo a giudizi taglienti di Borsellino su di lei, che solo lui conosce, senza precisarli e senza porsi il problema di un uso poco elegante, diciamo così, di un morto per denigrare un vivo, un vivo che peraltro combatte in una trincea difficile e non ha scelto di abbandonare il campo per un seggio parlamentare.
La verità è che la discesa in campo di Ingroia rivela lo stato di sofferenza della magistratura. Ormai sono numerose le voci che chiedono una maggiore distanza fra politica e magistratura. Lo hanno fatto numerosi procuratori nel discorsi di inaugurazione dell’anno giudiziario. Lo hanno fatto Boccasini e Maria Falcone. Lo fanno nel silenzio i tanti magistrati che operano con sacrificio e serierà. Lo hanno fatto quanti, come Raffaele Cantone e il pm Sebastio di Taranto, che hanno rinunciato a correre per un seggio al parlamento.
Ingroia non l’ha fatto, ci ha esposto a una brutta figura internazionale per il suo atteggiamento in Guatemala, ha messo su un caravan serraglio di giornalisti amici e di politici di vecchio conio, ha impostato la sua campagna elettorale contrapponendosi al centro-sinistra come fa Silvio Berlusconi, e annunciando che in caso di insuccesso tornerà in magistratura e persino a un nuovo incarico Onu (ma glielo daranno?). Si può dire che tutto questo non è serio? Torniamo così la punto di partenza.
Tutte queste figurette che affollano il teatro o teatrino della politica fanno fare al sistema politico un salto mortale fuori dall’Occidente. Si definiscono più “contro” che “per”, non costruiscono potenze in grado di promuovere società civile (nelle liste ci sono amici degli amici scelti con criteri oscuri), trasformano la politica nella gara fra persone invece che in uno scontro fra progetti.
La vittoria del Pd potrebbe spingere tutti gli altri a rifare i conti. Potrebbe spingere i berlusconiani a darsi un vero profilo di destra che è nella loro natura, anche nella nauta di quegli strani socialisti alla Brunetta che sono passati dall’altra parte. Monti a fare un partito come gli altri, ma che sia una forza moderata europeista, il mondo di Ingroia a cercare di dar vita un rassemblement vero e non uno specchietto per le allodole costruito su miti strappati al patrimonio comune.
È per tutte queste ragioni che personalmente penso che lo sguardo debba essere puntato prevalentemente su Grillo. Temo il suo successo ma so che è segno dei tempi e frutto di un decennale lavoro. Gli altri lucrano sulle contraddizioni del presente, con maggiore o minore cinismo. Trovare in questa compagnia un senatore a vita che sembrava essere diventato il simbolo di un’Italia moderna e che invece rivela i tratti del professorale caudillismo sudamericano, fa un certa impressione. L’ottimo Mario Sechi, così occidentale nei suoi proclami, non si imbarazza in simile compagnia?