Lo scontro fra Monti e il Pd è già diventato stucchevole. Il primo accusa Bersani di essere circondato da conservatori, e pensa a Vendola e Fassina. Il Pd, per bocca di Fassina, accusa Monti di aver fatto una lista per il Rotary. I rispettivi elettorati saranno contenti. Entrambi i contendenti massaggiano l’anima dei propri sostenitori con argomenti facili e banali.
Il Pd – Monti dovrebbe imparare ad ammetterlo – è il principale partito progressista italiano, con un leader che ha avuto un larghissimo consenso elettorale e una piattaforma che assomiglia a quella delle grandi socialdemocrazie. Monti, e i piddini dovrebbero saperlo, non è un berlusconiano dal volto umano ma il premier che ha consentito la ripresa di credibilità internazionale dell’Italia e l’accantonamento del berlusconismo senza colpo ferire. I due schieramenti sono concorrenti. Non era previsto che lo fossero.
Monti avrebbe potuto sottrarsi all’impegno politico diretto in nome della propria terzietà. È venuto meno alla parola data, corre il rischio di un risultato elettorale che lo potrebbe cancellare. Il Pd si trova di fronte non più il solito Berlusconi ma un personaggio di chiara impronta neo-conservatrice la cui presenza è stata lungamente vagheggiata negli anni in cui la sfida era con il nordismo estremista di Lega e PdL. Sia Monti sia il Pd dovrebbero congratularsi reciprocamente per aver sottratto il dibattito politico dal vortice del populismo sia di marca berlusconiana sia di segno grillino. Invece sembrano preferire uno scontro vecchio tipo.
Se esaminiamo con freddezza la situazione dobbiamo sapere che c’è il rischio che nel prossimo parlamento, mettendo assieme arbitrariamente Lega, Berlusconi e Grillo, nonché Ingroia se ce la fa , ci sarà una cospicua minoranza, che potrebbe essere anche una maggioranza, anti-europea. Questo dovrebbe spingere Pd e Monti a farsi concorrenza ma a delimitare i confini dello scontro. L’intero sistema politico italiano ne guadagnerebbe se Monti e Il Pd dovessero essere larga maggioranza nel paese confinando le posizioni anti-europee ai margini.
Questo non vuol dire smettere di combattersi, in campagna elettorale ci si combatte, ma alzare il livello della battaglia politica. Stefano Fassina potrebbe dar prova di leadership se assediasse Monti e il montismo con proposte evitando di cadere nelle polemiche dozzinali. Monti dovrebbe smettere di descrivere Fassina come un pericoloso bolscevico perché è evidente a tutti che non lo è.
Gli strateghi dei due partiti possono ritenere che lo scontro Pd-Monti sottragga spazio alle estreme. Non è così perché ne allarga la influenza. È accettabile che Monti consideri la soluzione Bersani troppo laburista e che il bersaniani pensino che Monti sia la nuova destra. Ma è un fatto che entrambe le posizioni sono limpidamente europee e avrebbero tutto l’interesse a farsi concorrenza non fino al punto di aprire varchi agli anti-europei. Insomma c’è un rischio-Tafazzi nel dibattito fra il premier e i bersaniani. Speriamo che le teste fredde dei due schieramenti se ne accorgano.