Qualche giorno fa Bersani, rispondendo a una domanda sui sondaggi che cominciavano ad essere sfavorevoli, ha detto: «Non è che la pressione si misura ogni giorno». Voleva dire, suppongo, che bisogna stare alla larga dai giudizi affrettati sullo stato dell’opinione pubblica.
Purtroppo è vero il contrario, come sanno tutti gli ipertesi. In momenti difficili, la pressione non solo si misura ogni giorno ma diverse volte al giorno e in orari differenti. Ebbene, la pressione elettorale conferma che il Pd attraversa il suo momento peggiore. Sono sintomi, non diagnosi definitive e i prossimi venticinque giorni possono confermare l’insorgere della malattia ovvero ridare un quadro di buona salute.
Per restare alla metafora della salute indebolita, bisogna prendere in considerazione le cause dell’insorgenza della patologia. Molto dipende dal fatto che Bersani combatte la sua battaglia avendo tutti i fronti aperti, a destra come a sinistra. Nessuno vuole o può vincere le elezioni, tutti vogliono impedire che vi sia un vincitore. Questa condizione spinge alcuni, come Arturo Parisi, a indicare nella certezza della vittoria annunciata il limite della strategia di Bersani. Non è un’obiezione convincente. Immaginate quale campagna elettorale demenziale sarebbe venuta fuori se anche il Pd si fosse iscritto alla associazione di chi gioca più per far perdere gli altri che per vincere.
Il Pd deve dire agli italiani che vuole vincere, che può farlo e che può caricarsi sulle spalle la crisi del paese. Non è qui l’errore di Bersani. Semmai, insisto, questa sicurezza di sé dovrebbe essere confortata da una lista stringente di cose da fare e di personalità in grado, da ministri, di farle. La campagna elettorale del Pd inoltre pesa troppo solo sulle spalle del segretario e di Massimo D’Alema. Altri latitano.
Capisco l’amarezza di Renzi per la sconfitta alle primarie e anche la delusione dei suoi supporter. Tuttavia Renzi non ha perso per via di un complotto ma perché in tanti non sono stati convinti da lui. È andata così, in questo giro. Centellinare le proprie apparizioni senza spendersi generosamente, dopo aver piazzato fra cinquanta e settanta propri seguaci nelle liste elettorali, è un errore di prospettiva che il sindaco di Firenze sta commettendo. Immaginatevi Hillary Clinton, per restare a un esempio recente, che avesse messo il muso a Obama e si fosse impegnata nelle presidenziali solo in un paio di occasioni. Renzi ha detto alla Bignardi che il campionato si vince con il gioco di squadra. Ben detto, ma finora lui quel gioco non l’ha fatto e si accinge solo a giocare scampoli di partita. Se Bersani perde non è Renzi il futuro del Pd. Solo se Bersani vince il Pd, anche quelli che non hanno votato il sindaco, si prepareranno a una sua leadership.
Tace anche Veltroni. È stato generoso nella rinuncia, ma non ha niente da dire in queste settimane? Un po’ singolare la scelta di farsi da parte di uno che non si considera né deve essere considerato, in virtù delle cose che ha fatto, di quelle che ci sono da fare e dell’età, fuori dai giochi.
Bersani, infine, fa poco per mobilitare quelle forze che confinano con i mondi elettorali che hanno punti in comune con la lista di Ingroia, la vera lista di disturbo di questa campagna elettorale. Possibile che solo la Boccassini deve dire parole di verità su questo magistrato che si è buttato a capofitto in politica, dove già c’era, e che già fa progetti sulla sua carriera futura in caso di sconfitta? Non c’è la possibilità di aprire un discorso con Don Ciotti, con i professori di Alba, con quell’intellettualità radicale che sente la necessità di impedire sia il successo di Berlusconi sia l’ingovernabilità?
Sono queste e altre le pillole che possono abbassare la pressione che vanno prese ogni giorno misurando l’andamento della piccola crisi elettorale. Si dice che il Pd stia perdendo mordente e ne perderà ancora per colpa del banco del Monte. Sono tuttora convinto che il Pd possa reagire, che l’area dei coinvolti, come emerge dai resoconti dei giornalisti più informati e più obiettivi, sia molto vasta.
Non capisco, tuttavia, perché il Pd non faccia sentire che a Siena c’è bisogno anche di facce nuove, di personaggi a cui affidare il messaggio: staremo fuori dal banco, si chiude con il passato. Insomma si possono trascorre questi giorni di fine campagna elettorale aspettando sconsolati la bufera oppure cercando di consolidare la casa. Vedremo quale sarà la scelta.