Il crescendo di dichiarazioni a forte contenuto polemico che il presidente del Consiglio ha messo in campo nelle ultime ore forse servono a prendere voti (ne dubito), ma certamente danneggiano la sua figura di uomo di Stato e di “esperto” super partes chiamato in un momento difficile della Repubblica. Non so chi lo consiglia, ma va detto con chiarezza che le parole di ieri su Fassina e Brunetta sono del tutto fuori luogo e, peraltro, dal forte contenuto “antipazzante” per chi le pronuncia. Bisogna dunque cominciare a dire le cose come stanno. Stiamo infatti assistendo ad un pessimo avvio di campagna elettorale, pieno di polemiche cattive, allusioni personali, colpi sotto la cintola. Trovo tra i peggiori esempi in proposito le dichiarazioni di Ingroia contro Grasso, tema sul quale avrei voluto sentire parole dure dal Capo della Stato nel suo messaggio di fine anno. Parole che, purtroppo non sono arrivate. E vorrei sapere perché. Ma proprio in questa brutta campagna elettorale alcuni stanno dando il peggio di sé, mentre altri, Maroni e Bersani per citarne due, stanno tenendo un profilo decisamente accettabile, cercando di parlare di cose da fare e evitando troppe parole in libertà. Torniamo però alle scelte di comunicazione del presidente Monti. A mio avviso nelle ultime due settimane si è sbagliato quasi tutto, cercando di buttarlo nella mischia con una overdose di apparizioni radiotelevisive che lo abbassano di tono anziché elevarlo. A mio avviso infatti la sua forza cresce in diretta proporzione con la sua capacità di togliere veleno al dibattito: più statista e meno politicante dunque. Lontano dalle comparsate televisive e immerso invece in attività di governo che ne evidenziano preparazione e rigore. Certo, i dati economici non sono esaltanti e gran parte degli italiani ha visto un gran fiorire di tasse da pagare. Ma nessuno può mettere in discussione il profilo serio e competente del professore, che rimane indubbiamente il suo patrimonio più robusto. È nella credibilità internazionale la sua forza, non certo nella partecipazione quotidiana al teatrino della politica. Se invece entra a piedi uniti su tutto e tutti, peraltro commettendo “gaffes” e strafalcioni pericolosi (il verbo “silenziare” è decisamente inquietante), finisce per danneggiare sé stesso, senza guadagnare un voto. E finisce per commettere un secondo errore, il cui effetto si vedrà dopo le elezioni. Quello cioè di perdere il patrimonio più prezioso, cioè quella diversità virtuosa che ne ha contraddistinto la figura per gran parte del 2012. Proprio quella diversità che potrebbe risultare utile chiuse le urne, quando avremo comunque bisogno di formare un governo e mandare qualcuno al Quirinale. Ad alzare i toni sono tutti capaci, magari con effetti di variabile entità. Ma la sobrietà dello statista è proprio quello che ci serve. E vale ben più di qualche punto di consenso ceduto agli urlatori. I quali, peraltro, non sanno cosa farsene.
4 Gennaio 2013