Vi è mai capitato di avere fra gli amici di Facebook un amico o un conoscente che nel frattempo è morto? A me sì.
Si tratta di un amico italiano che viveva all’estero. Aveva poco più di una trentina d’anni. Faceva l’attore, ma curiosamente non aveva visto al cinema “Caro Diario” di Nanni Moretti. Così quando il mio amico ha cominciato a soffrire di un forte e insopportabile prurito non ha pensato che forse era stato aggredito da un linfoma, come accade a Moretti in quel film autobiografico.
Quando il mio amico ha scoperto di avere un linfoma maligno i medici lo hanno sottoposto a diversi cicli di chemioterapia. Sono stati pesanti, ma lui raccontava che gli effetti della chemio erano meno devastanti del prurito. Il mio amico ha lottato un po’ di mesi, sembrava averla scampata, ma poi non c’è stato più nulla da fare.
E’ morto nel giugno del 2011. Ma il suo profilo è rimasto aperto su Facebook. Tuttavia quella pagina non è diventata una bacheca di ricordi. Nessuno ha aggiunto pensieri, preghiere o immagini toccanti. L’ultimo post del mio amico risale al novembre del 2010. Dopo quella data non si è più curato del suo profilo e nessuno ha più scritto nulla. Una vita interrotta, senza saluti o messaggi da lasciare ai posteri.
Altra vicenda raccontatami da un collega. In una cittadina del Sud un adolescente in perfetta salute ha problemi ad accettare una sua vistosa caratteristica fisica non patologica. Tuttavia vive normalmente, va a scuola, ha amici, anche su Facebook. Una sera è a casa da solo, sta davanti al computer, chatta su facebook con alcuni amici. Una sera come tante. Ma a un certo punto il ragazzo si avvicina alla finestra e si getta nel vuoto. Muore sul colpo. Gli amici restano sgomenti e nei giorni successivi alla tragedia si scambiano pareri sulla pagina Facebook del ragazzo morto. Questo intenso scambio di post, con accuse, recriminazioni e rimpianti dura qualche giorno. Alla fine i genitori, seguendo le tracce che il figlio aveva lasciato, riescono a fatica a chiudere il profilo del figlio in rete.
La gestione post mortem dei profili che gestiamo da vivi su Facebook, Twitter egli altri social network sta diventando un problema, anche con risvolti legali. Il rispetto della privacy ci accompagna nell’aldilà. Per i familiari non è facile, a volte impossibile, avere dalle aziende che gestiscono i social network le password di accesso ai profili on line.
Le leggi, quando ci sono, accrescono la confusione. Negli Stati Uniti (dove si calcola che nel 2012 siamo morti 580 mila utenti di Facebook) è in vigore una legge federale del 1986 ormai obsoleta (Internet ancora non c’era), ma che finora i tribunali hanno interpretato negando alle famiglie dei deceduti l’accesso ai dati. In alcuni Stati ci sono leggi meno restrittive, ma la realtà è che il legislatore è ancora impreparato davanti a questo problema. Al Congresso si sta studiando una legge federale, ma si prevede che non sarà pronta prima di due anni. Intanto alcune aziende, come Yahoo, possono chiudere un account e cancellare le nostre tracce digitali dietro la presentazione di un certificato di morte. Facebook consente di rendere commemorativo l’account di una persona deceduta, ma per certificare il decesso basta compilare un modulo nel quale inserire il link a un necrologio o a un articolo di giornale. A quel punto il profilo resta aperto solo per i commenti e le foto degli amici che il deceduto aveva al momento della scomparsa.
Per decidere che cosa sarà della nostra eredità digitale la cosa migliore sarebbe quella di lasciare un testamento con indicazioni precise, magari indicando le password necessarie per accedere ai vari account in rete. Può essere davvero una soluzione? Chissà che lo spazio di questo blog non possa diventare il luogo per accogliere riflessioni e commenti.