Mentre partono puntuali le portaerei berlusconiane contro il leader del piccolo movimento con la freccetta, verrebbe spontaneo difendere, abbozzare, appellarsi al “così fan tutti”, ma non sarebbe serio.
Passi per il master alla mitica Mecca liberista di Chicago mai conseguito, ma se poi scopri che pure le due lauree autoattribuitesi in Giurisprudenza ed Economia sono un’ulteriore balla, se la legge lo consentisse, e secondo noi dovrebbe, Oscar Giannino, il mentore e paladino della meritocrazia, della lotta alle baronie e alle corporazioni e dell’esaltazione dell’efficienza nordista, scoperto a taroccare i propri titoli accademici come uno Scilipoti qualsiasi dell’entroterra siculo, o un Lando Buzzanca di una commedia all’italiana degli anni ’70, dovrebbe solo guadagnare un cantuccio riservato di quelli che le nostre maestre riservavano a ragazzacci che fra di noi l’avevano fatta più grossa.
Anche per chi come noi non l’avrebbe votato non essendo liberista, infondo dispiace che l’ennesimo tentativo di dare a questo paese una parvenza, per quanto in forma embrionale e residuale (ma era lo stesso Einaudi a ricordare che i liberali in Italia potrebbero viaggiare tutti in un aereo, e dai tempi di Einaudi le cose non sono molto cambiate, se non in peggio) una destra liberarepubblicana di matrice costituzionale, finisca di fatto nel peggiore dei modi, come il primo della classe scoperto a copiare la versione su un Bignami, come il sempieterno vizietto arcitaliano del fregare per millantata furbizia.
Nei paese che ogni volta si parli delle nostre magagne definiamo “normali”, ci si dimette per aver copiato una tesi o non aver pagato i contributi alla colf; in Italia siamo ormai abituati a scambiare per garantismo la presunzione d’innocenza di primo o secondo grado, millantare lauree false potrebbe essere preso per peccato veniale. Ma Oscar Gannino non è un Cosentino o un Razzi o Scilipoti qualsiasi. Al signore dandy pubblicano della trasparenza, indulgenza concedere non si può.