Avevo già scritto qualcosa del genere, mesi fa, in termini generali e tirando in ballo elettori ed eletti un po’ di tutti i partiti “storici” dell’agone politico dell’ultimo ventennio. Forse è però necessario un piccolo richiamo, di fronte ad alcune reazioni che stanno accompagnando la nuova affermazione in campagna elettorale delle sguaiate proposte programmatiche di Silvio Berlusconi. Un intervento che circola da un paio di settimane sul web mi sembra riassumere al meglio un atteggiamento che secondo me merita un supplemento di riflessione. Dopo un elenco di proposte berlusconiane non mantenute in materia fiscale, il testo conclude, con indubbio buon senso:
In un Paese normale, un politico così non avrebbe avuto un’altra possibilità e, invece qui da noi non solo continua a dire bugie ma, c’è ancora chi dopo tutto gli crede. Certo, si sa una bugia ripetuta tante volte diventa una verità.
Tutto vero, per carità. In campagna elettorale Berlusconi ha sempre sparato tante proposte concrete per dare sostanza al suo disegno complessivo, e poi non ha realizzato tutto. Ma siamo sicuri che il problema sia proprio il fatto che non abbia mantenuto le promesse?
Sarebbe senz’altro molto rassicurante l’idea di milioni di persone che hanno votato in buona fede un leader politico che prometteva provvedimenti giusti, e che speravano di vederli realizzati, mentre in realtà il nuovo capo del governo, una volta ottenuta la vittoria, se ne infischiava. Sarebbe un buon modo per assolvere gli elettori, evidentemente imbrogliati da chi si prendeva il loro consenso con la promessa di cose buone e poi faceva tutt’altro.
In realtà non è andata proprio così. Le promesse non mantenute non rappresentano il cuore dell’azione politica berlusconiana, ma è anzi forse vero il contrario, e proprio l’impossibilità di concretizzare certe proposte strombazzate in sede di campagna elettorale per difficoltà di bilancio o per l’opposizione di qualche organismo di controllo dell’attività del governo ha rappresentato un freno ai danni quasi irreparabili che la sua politica ha arrecato all’Italia.
Al di là dei singoli provvedimenti messi sul tavolo di volta in volta, la linea politica che Berlusconi intendeva portare avanti è sempre stata chiaramente enunciata e perseguita in seguito a vittorie elettorali fondate proprio sul mandato di perseguire quegli obiettivi, che possono essere così sinteticamente riassunti:
- Mano morbida nei confronti dell’esazioe fiscale, con la sostanziale identificazione della riduzione delle tasse con la riduzione dell’ingiunzione di pagarle da parte di chi può darsi all’elusione.
- Finanziamenti e sostegni di varia natura a tutto il mondo imprenditoriale in crisi di produttività e di mercato, sia sul piano dell’allocazione della spesa pubblica, sia su quello dell’ostilità alle associazioni sindacali nel corso delle contrattazioni, fino a rendere sostanzialmente irrilevante per la sopravvivenza delle aziende il miglioramento della loro qualità.
- Un atteggiamento nei confronti dei fenomeni migratori impostato esclusivamente sull’approccio penalistico, così da produrre esplicite condizioni di discriminazione e di mantenere una fascia crescente di lavoratori in condizioni di ricattabilità.
Tutto questo ha trovato attuazione chiara ed evidente soprattutto nel ciclo di governo 2001-06, quando la situazione finanziaria internazionale non imponeva limitazioni troppo strette alle possibilità di spesa e di intervento dello stato. Ma anche nelle campagne elettorali successive il cospicuo successo berlusconiano trovava la sua ragion d’essere essenzialmente sulla prosecuzione dell’azione legislativa su punti simili. Chi ha votato Berlusconi nel corso del tempo, e chi in definitiva continua a sostenerlo ora su una piattaforma non dissimile, non è stato vittima di un raggiro, ma complice di provvedimenti suicidi.
Scendendo nel dettaglio dell’attività lgislativa “spicciola”, da un piccolo campione di casi significativi si ha la conferma che le scelte di governo più esiziali di Berlusconi e soci non sono state le promesse non mantenute, ma quelle che ci si è effettivamente sforzati di portare avanti. Tanto per tirare in ballo ciò di cui più si parla oggi, l’abolizione dell’ICI sulla prima casa ha intaccato l’unica forma di sostentamento finanziario autonomo degli enti locali, e per impedire il collasso delle attività dei comuni ha contribuito a creare un progressivo ammanco nelle casse pubbliche, vista l’impossibilità di ridurre la spesa per il sostegno a sprechi e imprese improduttive su cui si basava molto del consenso elettorale del centro-destra. Così, il ponte sullo stretto di Messina è stato effettivamente portato in fase avanzata di progettazione, pur nella consapevolezza che comportava spese triple o quadruple di quelle messe in contro per opere simili nel resto d’Europa, con modalità di assegnazione degli appalti storicamente inaffidabili, il tutto per ridurre di un paio d’ore il trasporto via terra di merci e prsone che impiegano ad oggi in media 24 ore di percorrenza, in aree dove d’estate si fa fatica a garantire servizi ben più essenziali per un paese civile, come l’acqua corrente. Bloccare tutto è stato un gesto di buon senso da parte di chi si è alternato a Berlusconi a Palazzo Chigi, non certo la fine di una promessa farlocca. E oggi, il problema dell’abolizione totale e del rimborso dell’IMU sulle prime case non è la sua irrealizzabilità: si può fare, i soldi in cassa ci sono; solo che dovrebbero servire ad altro per cui sarebbero assai meglio spesi in una situazione di emergenza della nostra capacità di raccogliere debito a prezzi adeguati, e la vera tragedia non sarà l’eventualità di aver votato un Berlusconi che poi non mantiene la sua promessa, quanto piuttosto la possibilità che si mostri sincero.