Christian Rocca ha scritto una cosa molto interessante sull'”Obama di destra“, pallino del direttore di IL: ovvero che i rapporti tra USA e UE dei prossimi anni saranno tutti basati su una politica molto liberista, e quindi molto poco di sinistra, di quella sinistra che guarda ad Obama come il paladino dei diritti ma chiude gli occhi quando manda i droni, insomma. Ecco, dicevo, i rapporti tra USA e UE nei prossimi anni saranno quasi del tutto caratterizzati dall’economia: o meglio, dal commercio. Spiegherò poi meglio in seguito cosa intendo.
Per il momento, è significativo vedere come lo “scorecard” dello European Council on Foreign Relations, che è una sorta di pagella della politica estera dell’Unione Europea, abbia assegnato un voto buonino alle relazioni transatlantiche, un B-. Niente di trascendentale, ovvio, però è uno dei punti salienti nel 2012 appena trascorso delle mai troppo pubblicizzate iniziative dell’Unione Europea in termini di relazioni esterne. Il Corriere, inoltre, qualche giorno fa titolava nelle pagine interne del desiderio espresso da John Kerry, neo-Segretario di Stato, di tenere una Transatlantic Dinner il 27 febbraio a Roma, nel segno della profonda amicizia che lega i due Paesi. Nel frattempo, una grande macchina si sta muovendo per lo sviluppo del cosiddetto TAFTA, una sorta di NAFTA che non riguardi solo l’America del Nord ma anche lo storico partner europeo.
Quale è la ratio dietro a questo progetto? I celeberrimi fratelli Koch hanno corrotto con mazzette il President? L’Europa ha finalmente trovato una strategia comune per uscire dalla sua irrilevanza e tornare locomotiva? No, niente di tutto questo, semplicemente la causa è la Cina. Che è lontana e non vicina, ovvio, ma da alcuni anni si sta muovendo in una direzione pericolosa un po’ per tutti. Un’immensa area di libero scambio per merci, soprattutto. Per la libera circolazione delle persone ci sono molti più problemi, dalle misure antiterrorismo alle recenti questioni sulla protezione della privacy dei cittadini europei dai giganti della tecnologia americani. Ma è davvero così facile riunire ancora insieme la superpotenza ormai in declino e la figlia minore così debole?
La risposta la vedremo nei prossimi anni (o mesi, ma il pachiderma burocratico necessita di tempo quindi molto più probabilmente saranno anni): nel frattempo, cosa fanno i due personaggi che dovrebbero occuparsi di queste cose? I referenti diplomatici da una parte e dall’altra, I due Ambasciatori? Twittano. Davvero: #askambs è l’hashtag usato venerdì 21 febbraio per una conversazione breve ed intensa sui massimi sistemi tra i due rappresentanti. Chiariamo: la public diplomacy consiste principalmente questo, e gli effetti sono stati positivi, dato il numero di domande che i due hanno ricevuto durante l’ora di intervento. E poi, diciamocelo, sempre meglio che il cane Trozzi, o fare un tweet con dentro un bel WOW!!! che fa molto ex-Commissario Europeo. Le questioni poste, che si possono trovare a questo link, sono disparate: da Peter Spiegel, corrispondente europeo del Financial Times, che chiede in quale delle due capitali si mangi meglio, se a Bruxelles o a Washington, a Ned Simons dell’Huffington Post UK (molto distante da quello italiano, ça va sans dire), che chiede lumi sulla questione della permanenza della Gran Bretagna nell’Unione Europea. Risposta: Gli Stati Uniti supportano un forte Regno Unito in una forte Unione Europea, che è un mantra ma non fa mai male ripeterlo.
Il Kodeuropa è lontano, per fortuna, fino a quando ci sarà la volontà di portare avanti discorsi simili. Davvero, lontano da ogni utopia ultrafederalista, così si fa: affiancare il sacro al profano, il piccolo al grande, che è un po’ il problema principale dell’Unione. Una volta che lo capiscono anche gli altri 498.723.520 cittadini, siamo a cavallo.