Potrà sembrare monotono, chissà quanta altra gente lo ha scritto o detto, ma in questa tornata elettorale gli italiani si giocano una buona fetta di futuro politico, economico e sociale. Se ad avere la meglio dovessero essere gli stessi partiti e gli stessi uomini che per vent’anni hanno promesso di tutto e di più, il nostro destino è segnato: non andremo molto lontano.
Attenzione però. La vicenda Giannino dimostra che “nuovo” non è sinonimo di “buono”. Molto spesso il nuovo nasconde più sorprese di quante ce ne possiamo aspettare. In questa corsa a Palazzo Chigi c’è molta gente nuova, ma non si sa fino a che punto ci si può fidare. C’è Ingroia, che non ha fatto in tempo ad arrivare in Guatemala che è ritornato. Dice di essere una faccia nuova della politica (tecnicamente lo è), ma la sua campagna elettorale è iniziata più o meno cinque anni fa, quando andava in giro per l’Italia vantandosi del suo lavoro (?) da magistrato. Poi scorrendo nelle liste scopri che dietro la figura del giudice barbuto ci sono Di Pietro, De Magistris, Diliberto e Ferrero. Non è che siano proprio novellini.
C’è Grillo, che ormai da più di quattro anni grida “vaffa” a destra e sinistra, dice che la rete è l’unico strumento utile alla democrazia, candida gente che a malapena raccoglie qualche centinaio di voti e che alle domande dei giornalisti risponde (se è autorizzato) con sillabe del tipo “sì, no, boh”. Colui che predica l’ossimoro della decrescita felice, che promette il reddito di cittadinanza (con quali fondi?); Grillo, accompagnato da Casaleggio, il tale dal lungo capello che davanti alla domanda:”Con quali soldi coprirete l’abolizione dell’Irap e dell’Irpef?”, barcolla ma non molla, sembra chiedersi cosa siano queste sconosciute dal nome strano e risponde che è tutto sulla rete (che pare un’entità metafisica incontrastabile).
Ma se il “nuovo” piange, il “vecchio” non può certo ridere. Ieri sera Bersani ha chiarito (finalmente) un punto importante. Il segretario del Pd ha detto che “le tasse servono a dare lavoro”; praticamente ha dato ragione a chi ha sempre pensato che il programma di governo del centrosinistra è incentrato sulla formula “più spesa pubblica, più tasse”. Per il resto, invece, il programma di Bersani è pressochè oscuro: da un mese dice che c’è bisogno di posti di lavoro, ma non spiega come crearli; afferma che lui è stato l’unico a liberalizzare (non più di tanto), ma non intende far sapere se vuole continuare a farlo; non parla di privatizzazioni e non intende abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Una delle poche certezze che abbiamo è che l’alleanza con Vendola non garantisce governabilità.
A far compagnia a Bersani c’è l’uomo dalla promessa facile, quello che ti fa sentire importante inviandoti la letterina e che promette di restituire l’IMU in contanti. Ovviamente parliamo di Silvio Berlusconi, che ha governato otto anni negli ultimi dieci, ma che non ha responsabilità per la crisi attuale (ipse dixit). E certo, mica è colpa sua se durante i suoi governi la spesa pubblica è aumentata di 209 miliardi e la tassazione di 176. E’ successo tutto a sua insaputa. La colpa è di Monti, della Merkel e delle banche (parla quasi come Grillo) che l’hanno costretto a farsi da parte.
La realtà è che nel nostro Paese gli elettori hanno dato molto spazio ad elementi che spesso si sono dimostrati incompetenti. Come ha detto Bisio nel monologo sanremese, se la classe politica che ci ritroviamo è ridotta così, la responsabilità è degli elettori.
A ciò si aggiunge la confusione dello scenario politico: i partiti tradizionali stanno lentamente collassando; ecco perchè il movimento di Grillo riesce a catalizzare molto consenso. Inoltre si deve anche precisare che il sistema politico italiano è monco: è assente uno schieramento, quello liberale. Berlusconi checchè ne dica è tutto fuorchè un liberale, le tesi del movimento di Giannino sono sempre più settarie e forcaiole e (ovviamente) il Pd è un partito socialdemocratico: lì dentro le idee liberali non potrebbero avere cittadinanza.
Invece, ciò che Monti è riuscito a mettere insieme si avvicina molto all’idea di movimento che manca. Scelta Civica è una lista piena di personalità che si sono “create” da sole, che hanno competenze in vari campi e di giovani meritevoli che vogliono riformare radicalmente l’Italia.
Tra il vecchio che conosciamo bene, il nuovo che sembra essere solo “contro qualcuno o qualcosa” ma che non ha un’idea di futuro, è meglio scegliere la competenza di chi come Monti ha dimostrato di godere della credibilità internazionale e che possiede una cultura profondamente riformatrice e liberale.