Febbraio 2013 – Aleppo – Siria – Photo by Franco Pagetti
Difficile capire oggi il futuro del fotogiornalismo, difficile fare previsioni e giudicare il lavoro dei professionisti dell’obiettivo quando siamo nel bel mezzo di rivoluzioni epocali come il digitale, gli smartphone, il ridimensionamento globale dei budget a disposizione della carta stampata, il trasferimento di gran parte dell’informazione sulla rete.
Ho letto con interesse le critiche ai risultati del WPP in questi giorni, spesso cariche di passione, mosse da voci anche autorevoli e che stimo molto della cultura fotografica.
1997, Photo by Hocine, World Press Photo of the Year
Alle vecchie critiche già presenti da anni riguardo estetizzazzione della sofferenza, pornografia del dolore, etnocentrismo, se ne sono aggiunte di nuove fra cui l’attacco a un presunto uso eccessivo di Photoshop.
È sempre arricchente riflettere sulle opinioni altrui e confrontarle con le proprie, fare una specie di revisione ragionata delle proprie convinzioni per capire se sono ancora le stesse, se sono ancora valide.
Sono in molti a sentirsi offesi dalla violenza esposta nelle fotografie del WPP, e su questo punto ho già manifestato il mio parere a riguardo, che rimane sempre uguale: non credo alla retorica dell’anestetizzazione e sono convinta che sia sacrosanto mostrare – anche – l’orrore, purché sia reale, non costruito.
WPP 2013 – Spot News, 3rd prize stories, Photo by Javier Manzano
Piuttosto da dove viene la rabbia che alcuni provano nel guardare queste fotografie? Perché mai dovrebbero essere considerate pornografia? A me sembra più “pornografico” e ipocrita non fare niente per cercare di cambiare le cose: forse è proprio la vergogna non elaborata che genera la rabbia.
WPP 2013 – Spot News, 3rd prize stories, Photo by Javier Manzano
C’è chi vorrebbe che questi premi non esistessero più, io credo fermamente che sarebbe un grande errore eliminarli: oggi è diventato sempre più difficile per i fotografi, conosciuti e non, trovare i finanziamenti per i loro progetti, e una novità grandiosa è la nascita del crowdfunding – non dimentichiamoci l’importanza che i diversi premi hanno sia per finanziare i progetti sia per dare visibilità e permettere quindi di trovare chi in questi progetti possa crederci.
1999, Claus Bjørn Larsen, World Press Photo of the Year
C’è chi vorrebbe che i giovani fotografi si concentrassero sui collaterali, su storie di lungo periodo. Non solo credo siano già in molti a farlo, ma è completamente inutile negare che il partecipare e magari vincere qualche premio di prestigio può aiutare i fotografi emergenti a crescere professionalmente e a trovare qualche lavoro pagato consentendo loro di concentrarsi poi su progetti di lungo periodo.
WPP 2013 – Spot News, 2nd prize stories, Fabio Bucciarelli
Il futuro è proprio nella collaborazione e nella solidarietà, entrambe estremamente potenziate dalla rete che ha eliminato scomodi intermediari, permettendo ai fotoreporter di presentare le proprie storie direttamente al pubblico, e di portare così avanti progetti che non avrebbero mai potuto vedere la luce altrimenti, dando così la possibilità ai giovani fotoreporter meno conosciuti di fare la propria parte per il pluralismo dell’informazione globale gettando una nuova luce – la loro – su quello che sta accadendo nel mondo.
Un fotografo impiega necessariamente del tempo a raggiungere la maturità fotografica, anche se ovviamente non è così per tutti: c’è chi già a 20 anni ha una sua visione e profondità di pensiero, ma anche in questi casi è solo con il tempo che si sviluppa la capacità di leggere i collaterali, di affinare un punto di vista. Che cosa avrebbe fotografato Capa a 60 anni? Non è forse biologico essere idealisti, esuberanti, e un po’ in cerca di guai a 20 e 30 anni?
WPP 2013 – Daily Life, 3rd prize stories, Photo by Tomás Munita
Franco Pagetti non è un ragazzino, di guerre ne ha viste parecchie, in questi giorni è in Siria, ieri ha pubblicato su Facebook due fotografie di Aleppo veramente belle, meditative, lo stesso teatro della violenza vincitrice del WPP diventa nella visione di Pagetti un dramma silenzioso carico di simbolismi. 40 anni fa Franco avresti pensato e fatto delle foto del genere?
Febbraio 2013 – Aleppo – Siria – Photo by Franco Pagetti
Dov’è la “verità”? Nel sangue, nel silenzio, in tutte e due e in nessuna delle due, la verità non esiste e lo sappiamo bene, accontentiamoci del coraggio di questi uomini che ci mostrano il loro pezzettino di verità, e poi saremmo noi a mettere tutti i diversi pezzettini insieme per comporre il nostro puzzle. Prendiamoci la nostra responsabilità nell’essere informati, non più passivi ma attivi.
Aspetto con ansia di vedere il lavoro di Pagetti ad Aleppo, come aspetto altrettanto con ansia quello di Stanley Greene, in procinto di partire anch’egli per la Siria.
Non credo che nessun premio abbia la presunzione di informare esaustivamente a 360° su tutti gli aspetti legati a un certo evento o conflitto, né credo che nella fotografia ci sia spazio solo per le immagini singole o per le serie fotografiche: queste due forme non si escludono a vicenda ma si completano.
WPP 2013 – General News, 1st prize stories, Photo by Alessio Romenzi
Se le immagini singole ‘iconiche’ raccontano sicuramente meno di una serie, è anche vero che hanno particolare forza, potenza e immediatezza, ti si stampano nella mente e possono essere la miccia che accende l’interesse per un certo argomento di cui si può poi approfondire la conoscenza assumendo un ruolo attivo che è nostra responsabilità coltivare.
Ho guardato in questi giorni l’archivio delle immagini vincitrici del WPP: ce ne sono alcune che aprono delle porte nella mia mente, e sono tutte immagini singole iconiche che ricordo e che portano con sé altri ricordi ad effetto domino, immagini che hanno fatto la storia e contribuito a costruire la nostra coscienza e consapevolezza.
1964, Photo by Don McCullin, World Press Photo of the Year
Riguardo alle polemiche sull’uso di Photoshop, per modificare i colori, la luce, il mio parere è che nel fotogiornalismo l’importante è che non vengano fatti interventi che mutino il nucleo pregnante di informazione della fotografia, tutto il resto per me è ammesso – come è d’altronde sempre stato, solo che un tempo si faceva in camera oscura e oggi si utilizza lo schermo di un computer.
1968, Photo by Eddie Adams, World Press Photo of the Year
Perchè non possiamo pensare che una certa attenzione per l’estetica sia in realtà anche una forma di rispetto e di cura per i soggetti e le situazioni rappresentate?
Mi sembra normale poi che i professionisti vogliano smarcarsi dalla tipologia di fotografie “snapshot” scattate con gli smartphones. D’altronde la fotografia è una tecnica, e come tale padroneggiarla in ogni aspetto e produrre dei risultati tecnicamente eccellenti non va a discapito dell’eticità o della moralità del contenuto rappresentato.
1972, Photo by Nick Ut, World Press Photo of the Year
Il problema sta sempre nel fatto che quando vediamo una fotografia, soprattutto la fotografia documentaria, sappiamo che la persona rappresentata, il dolore rappresentato, il dramma che ci sta davanti non è semplicemente frutto di un’immaginazione particolarmente creativa, è il dramma e il dolore di una persona in carne e ossa che si è trovata davanti all’obiettivo del fotografo. Ma c’è sempre l’obiettivo di mezzo, c’è sempre la mediazione della visione del fotografo che sta tra noi e le persone fotografate: l’immagine è necessariamente il frutto dell’interpretazione di chi la crea, è inevitabile. Ma non per questo il messaggio che una fotografia veicola in sé è meno importante, meno necessario.
1983, Photo by Mustafa Bozdemir, World Press Photo of the Year
Chi si imbarazza perché il cielo di Gaza non è mai stato così azzurro come nella foto vincitrice del WPP, pensa forse che se la foto fosse in bianco e nero e il cielo fosse quindi grigio sarebbe più reale? Mi tornano in mente i vecchi ragionamenti sulla fotografia e la confusione fra la sua doppia funzione di contenuto/contenitore.
1990, Photo by Georges Merillon, World Press Photo of the Year
Al limite temo che una cosa che sta forse accadendo è che i fotografi lavorino sempre più concentrati sulla post che sul “qui e ora” e questo rischia di produrre un’estetica omologante, ma anche in questo caso per poter davvero giudicare le fotografie di oggi abbiamo bisogno di uno scarto temporale: come in tutte le cose, potremmo valutarle meglio fra 10, 20 anni e vedremo cosa resterà.
2013, Photo by Paul Hansen, World Press Photo of the Year
E io onestamente credo che fra 10 – 20 anni la foto di Paul Hansen che ha vinto quest’anno il WPP me la ricorderò, a me è piaciuta moltissimo, è forte, immediata, iconica, curata e narrativamente pregnante.