CineteatroraIl premio dell’indifferenza è una donna violata

C’è del marcio che aleggia o irrompe nel quotidiano domestico, un fondo acquitrinoso e non visibile a un primo sguardo superficiale. Il fatto di confondersi e scambiare un’apparenza per verità dà c...

C’è del marcio che aleggia o irrompe nel quotidiano domestico, un fondo acquitrinoso e non visibile a un primo sguardo superficiale. Il fatto di confondersi e scambiare un’apparenza per verità dà conto di molti strati comodamente scansati nella storia di un uomo e una donna, una convivenza legalizzata da un matrimonio e sancita geneticamente dalla nascita dei figli. Ed è sempre un occhio maldestro quello che fa trarre rapide conclusioni su un volto tumefatto, un braccio slogato e un aborto presunto occasionale. Colpa delle dipendenze, della stupidità, del gusto di vendersi e sottomettersi.

La riscrittura scenica del romanzo di Roddy Doyle, La donna che sbatteva nelle porte, contiene tracce indelebili delle indifferenze caricate sulle spalle di un’attrice, Marina Massironi, per tutti più familiare al comico che non al tragico in salsa irlandese. Le condizioni di Paula Spencer, trentanovenne vedova e alcolizzata, madre di quattro figli e donna delle pulizie part-time, non aderiscono facilmente alla cornice di una violenza massificata. Anzi, proprio dalla trama e dalle musiche, dal ricordo romanticamente naturale e incline alla devozione ottenebrata di Paula verso Charlo, il maschio forte delle periferie dublinesi, si snocciolano repressioni e passioni insieme.

La colpa dell’alcol di Paula è lo strato che manca, che confonde e serve la cecità di chi non le chiede cosa succeda tra le pareti di un rapporto ossessivo, dove il responsabile dell’affrancamento da una famiglia anaffettiva è lo stesso che edifica caverne di colpi. Non esistono muri, ma la regia e drammaturgia di Giorgio Gallione muovono Paula su un prato perenne e desolato in cui lavello, frigorifero e sedie sono interrati come dopo un’era da conflitto. Ogni oggetto è bozzato o rovesciato, il letto sfatto e Charlo, il marito cacciato e ripreso, un guanciale mal riposto che riassume le pieghe delle botte inflitte alla moglie gravida e mai troppo solerte.

L’erba artificiale su cui cammina Paula a piedi nudi, coperta da un cappotto che nasconda i segni di calci e cicatrici, ritaglia solo un altro relitto di una vita che non sarà mai in pace perpetua, nemmeno dopo la morte del carnefice in un incidente seguito a tentata rapina. Ecco che le voci di Paul McCartney e Frankie Vallie riesumano stralci di chi ha sedotto con follia e poi infilato dalla porta solo pessime notizie, di chi si nutriva di vizietti strani e poi disfaceva ogni più insignificante tenerezza, fingendosi apprensivo al capezzale di una moglie ridotta in frantumi per l’ennesima lite innescata da micce dementi.

La consistenza della terra su cui cammina Marina Massironi è di una pellicola artificiale quanto i propositi di Paula di smetterla col bere gettando la chiave dell’armadietto alcolici nell’erba, per poi cercarla con avidità disperata. Propositi lenti a qualsiasi resurrezione, perché accantonati dalla comunità guardinga e giudice. Eppure, dopo i ricordi beceri di scuola, l’arrivo di Charlo torna tanto salvifico quanto struggente e amaro, rapido a impossessarsi di un amore tornando a casa sbronzo ogni sera e picchiando a più non posso o stuprando, perché quello è l’unico fortino di un coro di silenzi e resistenze. La bravura di Massironi è sì di tendere la mano alla commozione e al sorriso, quando c’è quel poco da estrarre in un marea nera più dei lividi che chiazzano il corpo, ma anche di accasciarsi inerme e chiudere con l’ironia di un mostro incapace al volante.

Il seguito è lecito a immaginarsi negli occhi atterriti di una manciata di figli rifiutati da un padre violatore che mangiava chips nelle mutandine dell’ancora fidanzata già cotta di finta protezione. Roddy Doyle torna così nell’adattamento per le scene trascinandosi le atmosfere e il didascalismo lecito del dire e far corrispondere squallori e tenebre da cronaca, ma anche l’umore e il disagio dell’essere soli a se stessi, soprattutto in famiglia. Universale è sì il corpo di un’anima spossessata di dignità, ma più irripetibile e difficile a redimersi è la sopravvivenza all’insonnia e alla fontanella che ogni giorno irriga ignara il prato fuori casa.

Fino al 24 febbraio – Teatro Elfo Puccini Milano

La donna che sbatteva nelle porte

di Roddy Doyle © Roddy Doyle, 1996 © Ugo Guanda Editore

drammaturgia e regia Giorgio Gallione
con Marina Massironi

scene e costumi Guido Fiorato
luci Aldo Mantovani
produzione Teatro dell’Archivolto

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