Non capita spesso che il cinema riesca a dare il senso del passato, disfandosi della pura descrizione per trasmettere una percezione: il gusto di qualcosa che c’era e che non c’è più; il passato in quanto tale, diverso dal presente e per questo affascinante e misterioso. Due film iberici, Tabù, del portoghese Miguel Gomes, e Blancanieves, dello spagnolo Pablo Berger, ci riescono con uno stile d’altri tempi, per l’appunto, che non parla di un’epoca storica ma lascia percepire la nostalgia di un altrove perduto, che forse non c’è mai stato in quanto reinventato dal presente.
E’ curioso che entrambi i film usino una retorica ben precisa al fine di darci questo senso del malinconico. Da una parte Tabù, diviso in due parti totalmente distinte, racconta di due vicine di casa, due signore anziane: una delle due, Aurora, ha vissuto in Mozambico nel passato, e racconta di avventure poco credibili, di amori, omicidi e coccodrilli. Alla sua morte uno stacco ci piomba in quel mondo, dove Aurora è la splendida proprietaria di una fazenda che intraprende una storia d’amore con un avventuriero italiano. “Aurora aveva una fazenda in Africa, ai piedi del monte Tabù”. Meravigliosamente filmato senza voci in campo (ogni dialogo è come parafrasato dalle voci dei personaggi già anziani che raccontano cio’ che si erano detti un tempo). Un effetto straniante che ridà vita al passato coloniale, all’avventura e all’amore.
Ma quel senso è dato in particolare dal rapporto tra la prima e la seconda parte del film: un po’ come se la prima parte, in una Lisbona grigia e banale, fosse esclusivamente funzionale alla seconda, al fine di rendere il senso del passato dal dialogo col presente, dallo scarto e la differenza con esso (il passato in quanto passato, perché diverso dall’oggi). Un passato reinterpretato e inventato certo, immaginato e immaginario più che registrato, ma proprio per questo ancora più forte perché ha la potenza del ricordo e non del documento.
Tabu – Trailer [VO] par Filmosphere
Blancanieves racconta invece la storia di una strana Bianca Neve “torera”, con sette nani che la adottano ma che in realtà sono sei. Anche qui il lavoro sul suono pare essenziale – il film è muto – ma anche qui, soprattutto, si lavora per dare un senso alle immagini che è prodotto dal loro rapporto con cio’ che si è visto precedentemente. Tutta la prima parte sembra allora finalizzata allo straordinario effetto della scena principale, quella in cui Blanca Nieves, oramai “torera” famosa, affronta l’arena di Siviglia, sotto gli occhi della perfida matrigna. Là si ricorda di tutto cio’ che ha passato – e noi con lei – e sotto gli applausi del pubblico, una sorta di giramento prende lei e noi, nel pensare a tutto quel vissuto, a come corre in fretta il tempo, come cambiano le cose e come finiscono presto.