Quando guardi il meteo, circa due settimane prima, dà sempre giornata soleggiata.
La decisione di farsi una giornata sulla neve non tiene mai conto di alcune variabili che sono in realtà assai dipendenti per l’esito della stessa: la distanza della località sciistica; lo stato di forma; lo stato economico; lo stato del vestiario.
La decisione di partire per questo divertente diversivo domenicale è sovente accompagnata da previsioni pressoché uniformi espresse dai partecipanti, dove il lato sportivo viene sovrastato dall’essere favorevoli ad una sbronza colossale a furia di bombardini in baita.
Una delle note più dolenti concerne l’orario di partenza. Si aggira mediamente in un intervallo compreso fra le 4.30 e le 6.30 del mattino, a seconda che si decida o meno di andare a sciare nello Stato confinante. Il ritrovo al casello dell’autostrada sarà mediamente assimilabile all’atmosfera che si respira nella casa di una famiglia di orsi al risveglio dal letargo, annessa fame clamorosa frutto della “mancata colazione da ritardo”.
All’arrivo all’amena località scelta, è un tourbillon di frasi fatte. Si andrà dal “la neve sembra bella/ghiacciata/fresca/veloce” del Ghedina del gruppo al “certo che i bambini con gli sci sono pericolosissimi”.
La mattina trascorre tra gambe incancrenite dopo la prima pista a causa della mancanza di attività sportiva nei precedenti sette mesi, mancanza di senso dell’orientamento perché “dove è in ombra la pista non la vedo” e conseguente ritrovarsi nella catena montuosa adiacente, sventagliata di Santi mentre si percorre la stradina di collegamento che passa nel boschetto che sembrava sì tanto carina, ma porta a fare sci di fondo (gli amici con la tavola da snowboard, in questi frangenti, perdono totalmente il senno e decidono di buttarsi giù da qualsiasi cosa possa essere in discesa, non ci saranno alberi, rocce, tane di lupi e rischio valanghe che terranno).
Intorno alle 12.30, alta si leva la voce di colui il quale propone di fermarsi a mangiare. Nel 97% dei casi, la giornata sciistica trova qui il suo termine, dopo che il giornaliero dalle 8.30 alle 17.00 è costato all’incirca quanto la retta dell’università e “se facevamo quello a punti in fondo risparmiavamo”.
Il pranzo dovrà essere leggero, in modo da poter sfruttare anche il pomeriggio senza essere appesantiti. Però, in fondo, bisogna anche rifornirsi di energia, perché a sciare si consuma. Due wurstel, sei uova, una cotoletta, crauti, patatine fritte e quattro birre medie dovrebbero bastare.
Si esce dal rifugio circa tre ore dopo. Con un rutto che causerà lo spostamento dell’asse terrestre, ci si dà la spinta necessaria a partire per rotolare a valle, in uno stato di pesantezza tale che la vista sarà annebbiata e ogni curva metterà a rischio la vita.
La memoria storica della giornata finirà qui.
Dopo di che, sarà onere del guidatore, unico non dormiente nel viaggio di ritorno, far sì che una giornata simile possa ripetersi di lì a qualche settimana.
In fondo, anche domenica prossima mettono sole.
“La prima volta che sono andato a sciare non è stato un esordio felice: ho rotto una gamba. Per fortuna non era la mia.” (Michael Green)