Amore senza confiniIndossare l’hijab per un giorno: “World hijab day 2013”

Oggi è il "World hijab day": un invito, esteso alle ragazze non musulmane (e alle stesse musulmane che non lo portano) di tutto il mondo, ad indossare per un giorno l'hijab, il velo islamico che in...

Oggi è il “World hijab day”: un invito, esteso alle ragazze non musulmane (e alle stesse musulmane che non lo portano) di tutto il mondo, ad indossare per un giorno l’hijab, il velo islamico che incornicia il volto, coprendone i capelli.

L’obiettivo? Sensibilizzare: per molte credenti, in certi Paesi è difficile riuscire a portare l’hijab con tranquillità (nei prossimi giorni ne parlerò anche qui). Una diffidenza che è aumentata dopo l’11 settembre. Con l'”hijab day”, si vuole dare la possibilità di mettersi per una giornata nei panni di una musulmana, vedendo le reazioni delle persone della società in cui si vive (altre testimonianze sono raccontate sul sito internet che ha lanciato l’iniziativa http://www.worldhijabday.com/). “Prima di giudicare, copriti per un giorno”, si legge sul sito promotore.

Penso agli stereotipi nella nostra società rispetto alla donna musulmana che indossa l’hijab: sottomessa ai voleri del “marito-padron e” e senza personalità, per dirne alcuni. Dimenticando che sotto l’hijab ci sono delle persone e bisognerebbe innanzitutto considerarle come tali, senza etichettarle sin da subito.

Accetto la “sfida”, anticipandola di un giorno: così, ieri mattina ho svolto le mie attività abituali con l’hijab: sono andata in posta, alla Cgil, a bere il caffè in un bar e al lavoro (aiutocompiti da una famiglia) a piedi percorrendo le vie del centro.

Non avendo hijab in casa, mi sono arrangiata con una pashmina, che ho bloccato sotto il mento con una spilla da balia. In realtà ho fatto diversi tentativi: la prima volta ho preso una pashmina verde, molto grande, ma mi scivolava; così ho preso un foulard di seta rosa da mettere sulla fronte, a cui appoggiare sopra l’altro. Alla fine sono riuscita a cavarmela con una pashmina meno grande, senza fare l’effetto “fagotto” (la foto all’inizio dell’articolo). L’hijab però non significa solo avere un velo che copra i capelli: ha un significato molto più profondo, per il quale la donna deve cercare di essere modesta e pudica, quindi abolire ogni cosa che possa attirare gli sguardi maschili su di sé. Perciò niente trucco, niente profumo, né smalto sulle unghie, né un abbigliamento che attiri l’attenzione (no a colori sgargianti o abiti aderenti). Ho indossato i miei jeans, con un maglione lungo che coprisse i fianchi, con ai piedi scarpe da tennis.

Primo step: la posta del quartiere. Varcata la soglia della porta di casa, sono quasi “terrorizzata” che il velo mi possa scivolare da un momento all’altro, oppure che qualche capello mi stia involontariamente fuoriuscendo. Così, quasi ogni due metri mi fermo a specchiarmi nelle macchine parcheggiate a bordo strada, per controllare che sia tutto a posto. Arrivata in posta, mi metto in fila: nessuno mi sta squadrando. C’è anche da dire che a Bergamo vedere una donna con l’hijab non è così strano, vista la numerosa presenza degli immigrati; inoltre in città il Centro culturale islamico e la sezione dei Giovani musulmani propongono spesso iniziative di conoscenza dell’islam, lavorando insieme ad associazioni cristiane per smantellare i pregiudizi.

Tornata a casa, risistemo meglio il tutto: una fascia per capelli per tirare indietro la frangetta ribelle, qualche forcina per fermare i ciuffetti laterali e qualche spilletta in più per fissare meglio l’hijab.

Step due: andare in Cgil, dove ho un appuntamento. Mentre percorro le vie del centro, l’unico episodio spiacevole succede passando accanto a un gruppo di ragazzini, sui 15 anni, vicino alla fermata del pullman: uno di loro grida, facendo il gesto nazista: “Hi Hitler!”. Lo ignoro.

Arrivo alla Cgil e sbrigo tutto il da farsi tranquillamente. Poi mi incammino verso la casa dei ragazzini che aiuto a svolgere i compiti. Decido di fermarmi in un bar a prendere un caffè. Tutto si svolge normalmente e mi accorgo che sono più io a farmi paranoie e a pensare che le persone possano reagire male vedendomi con l’hijab, mentre tutti intanto si rivolgono a me sempre con gentilezza.

Step tre: i miei ragazzini, che erano stati avvisati dalla madre del mio “esperimento”, mi supplicano di togliermi l’hijab. Ai loro occhi sono troppo diversa: “Mi fai impressione, non sembri più tu”: mi dice il grande, che ha 15 anni, e aggiunge: “Se ti convertissi, andrebbe bene, ma intanto che sei cristiana puoi toglierlo? E’ strano, mi fai quasi paura!”. Gli spiego che non sono diversa: sono sempre io, il velo in testa non cambia di certo il mio modo di essere o comportarmi con lui. Intanto lui mi racconta della sua compagna di classe musulmana, che porta il velo, e di come pensasse che non avesse i capelli e si sia quasi stupito, quando lei, durante l’ora di educazione fisica, l’ha tolto, e una massa di capelli ricci le è ricaduta sulle spalle. Poi passa ai “ricatti”: “Se non lo togli non faccio i compiti” e cerca di togliermelo lui. Alla fine ci riesce e, soddisfatto, mi passa una mano tra i capelli: “Ecco ora va meglio”.

Quando esco, mi risistemo l’hijab; passo davanti a un negozio, dove due signore stanno parlando, una di loro appena passo si blocca, mi squadra e poi riprende la conversazione interrotta.

Arrivata a casa, mi tolgo il mio “hijab-fai-da-te”. Ripenso alle sensazioni della giornata: timore del giudizio delle persone incontrate, e la consapevolezza che l’hijab è al tempo stesso una grande responsabilità. E’ il simbolo di una religione, e se mi fossi comportata in modo scorretto, avrei rischiato che qualcuno generalizzasse sul comportamente dei musulmani, e quindi sull’Islam stesso, cosa che spesso accade. Ci si dimentica che i musulmani sono persone, e come tali non sono perfette e possono sbagliare come tutti. Ma negli ultimi anni, complice l’allarmismo terroristico, quando un musulmano sbaglia, le “colpe” ricadono sull’interà comunità. Bisognerebbe avere la forza di dire basta a queste generalizzazioni (sia dall’una che dall’altra parte).

Bergamo ad ogni modo ha “superato” la sfida. E voi, che aspettate a fare altrettanto, in qualsiasi città e parte del mondo vi troviate? Cliccate “mi piace” sulla pagina facebook dell’evento, “World Hijab Day“, aprite i vostri armadi e “create” il vostro hijab!

Qui trovate un tutorial che potrebbe esservi d’aiuto 🙂 http://www.youtube.com/watch?v=I27ierFac_Y&feature=youtube_gdata_player

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