Zhongnanhai e dintorniLa “Ascesa pacifica” non è una “Resa pacifica”: la Cina discute la sua politica estera

La politica di riforma e apertura avviata dalla dirigenza della Repubblica popolare cinese dalla fine degli anni '70 è stata caratterizzata da una costante strategica nella politica estera: il rifi...

La politica di riforma e apertura avviata dalla dirigenza della Repubblica popolare cinese dalla fine degli anni ’70 è stata caratterizzata da una costante strategica nella politica estera: il rifiuto di ogni pretesa egemonica e la fedeltà ai “Principi della coesistenza pacifica” (rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale, non aggressione, non ingerenza degli affari interni, parità e reciproco vantaggio negli scambi commerciali. Queste direttive sono state ribadite in sostanza anche nell’ultimo congresso del Partito comunista cinese, ma la fedeltà ai principi della “Ascesa pacifica” e della “Convergenza di interessi” non significa certo la fossilizzazione della politica estera di fronte ad un contesto internazionale nel quale permangono pratiche di neo-interventismo.
Per questo vi propongo la lettura di un articolo – da me tradotto – di Ren Weidong, ricercatore del China Institute of Contemporary International Relations, pubblicato il 18 gennaio scorso sul Quotidiano del Popolo.

“Come la Cina può mantenere più a lungo la pace e lo sviluppo?”
di Ren Weidong

Deng Xiaoping, il passato leader della Cina, ha chiaramente affermato che “la pace e lo sviluppo sono i due problemi più importanti del mondo che non sono stati ancora risolti”. Tuttavia i principali beneficiari dell’attuale regime economico e sociale non esiteranno a ricorrere alla forza militare per mantenere l’attuale ordine internazionale. In questo momento, sia in termini di giudizio della situazione o di orientamento politico, la pace e lo sviluppo rappresentano per la Cina buone intenzioni. Tuttavia, al fine di evitare di restare confinati nella dimensione del pio desiderio, dobbiamo tenerci sobri e tranquilli. L’unico modo affidabile per noi al fine di evitare, prevenire e ritardare la guerra è quello di far riconoscere a chi spinge in direzione di questa che non è in grado di vincere contro la Cina. Che dalla guerra non otterrà più successi di quanti ne possa ricavare dalla coesistenza pacifica. Una delle ragioni importanti per cui non ci sono state guerra contro la Cina negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso è che la Cina ha svolto un intenso lavoro di preparazione alla guerra.

Al giorno d’oggi, le leggi della storia non sono cambiate. Ogni volta che le contraddizioni interne del mondo capitalista diventano acute, aumenta il rischio di guerra. E ora ci troviamo in questo frangente. Da un lato, gli Stati Uniti sono così riluttanti ad accettare la loro caduta pacificamente da cercare di sconfiggere i propri avversari con tutti i mezzi, tra cui anche le guerre, al fine di mantenere la propria egemonia. D’altra parte, mentre l’ordine del mondo uscito dalla seconda guerra mondiale sta crollando rapidamente, il fondamento primo per la pace è stato gravemente scosso. La presenza di entrambi i problemi è ben evidente nell’Asia del Nord (il riferimento è al Giappone ndr).

A questo proposito, dobbiamo avere il coraggio di affrontare la realtà dei pericoli, invece di tollerare per decenni in attesa che la Cina diventi più forte, perché quei paesi che cercano di frenare la Cina saranno portati a pensare che questo è il loro momento migliore e l’ultima opportunità strategica per raggiungere il loro obiettivo.

Quindi, in ultima analisi, dobbiamo gettare via il pacifismo e il romanticismo che facilmente può evolvere in capitolazionismo in caso di pressioni e minacce. Dovremmo prepararci a fondo alla lotta e alla guerra. Solo in questo modo la Cina potrà mantenere un lungo periodo di pace e di sviluppo.

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