Oggi la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), presieduta dal rettore di Viterbo Marco Mancini, ha pubblicato una lettera aperta ai candidati alla presidenza del Consiglio sui problemi dell’università, che sostanzialmente chiede di rispondere alle difficoltà strutturali nell’accoglienza degli studenti e nell’efficacia delle attività di insegnamento e di ricerca messe in evidenza nelle scorse settimane con alcuni provvedimenti mirati e di buon senso, generalmente in armonia con molte delle proposte generali delle liste in competizione alle elezioni: agevolazioni al pagamento delle tasse universitarie e al godimento delle borse di studio, garantire un turnover nei ruoli adeguato alle necessità di docenti offrendo un futuro meno precario ai dottori di ricerca più dotati, portare ai livelli consoni a una grande democrazia industriale la percentuale di PIL investita in ricerca e produzione di conoscenza, ridare sostanza all’autonomia delle sedi accompagnandola con forme di responsabilizzazione sulla base del rapporto tra spesa e risultati nei progetti di miglioramento delle strutture.
Può quindi apparire strano che l’articolo del Corriere redatto a presentazione del documento sia stato sommerso da decine di commenti distruttivi. Ecco una piccola selezione per dare l’idea:
L’autonomia di assumere i loro figli e parenti! Le universita italiane hanno bisogno d’un Mussolini per pulirla! Non e per la mancanza dei soldi ma per la corruzione e nepotismo che l’universita italiane sono peggiore in Europa! Se piu bravi docenti non riescono a prendere un posto fisso se ne vanno al estero devo sono apprezatti per quello che conoscono per per chi conoscono! Io butterei fuori tutti professori che sono parenti con piu di una persona (la moglie e OK se sono conoscitui sul posto di lavoro, ma per degli altri nessun perdono)! Perche non mettono dei rettori stranieri per 4-5 anni per introdurre un po di serieta!
Non è lo Stato che ha distrutto l’Università, ma sono stati i professori: mentalità ottocentesca, incapaci di rinnovarsi, in molti casi scarso impegno, nessuna voglia di essere giudicati e controllati. La meritocrazia in Italia non esiste e chi emerge viene osteggiato da tutti. La storia dei soldi fa ridere: con le nuove tecnologie il 70% dei professori è del tutto inutile, perché le lezioni in aula sono da eliminare. Non parliamo di dialogo con gli studenti: nelle aule università non si fa dialogo in aula, sarebbe meglio avere dei tutor pagati molto meno. Per dare un’idea di questo mondo cito un Rettore che ha detto: “escludiamo l’insegnamento on-line, perché come tutti sappiamo costa molto di più dell’insegnamento tradizionale”. Questo la dice lunga sul livello di competenza di chi comanda in Università: in questa situazione le Università chiuderanno. Speriamo che così ci possa essere un rinnovamento.
Il primo grosso buco di Siena non è stato quello del Monte Paschi, ma quello dell’Università. Questa gente è spesso nemica della meritocrazia. Cominciamo ad abolire il valore legale del titolo di studio, attribuendogli così un valore reale che deriva dal prestigio dei corsi e di chi li tiene. I professori ordinari abbiano un mandato che dura cinque anni e poi sia rinnovato anche sulla base del giudizio espresso da chi ha partecipato; e se non hanno fatto almeno 10 esami all’anno vengano chiusi o accorpati. Dopo se ne può parlare di investire su questa gente. Vogliono fondi, ma chi mi garantisce che non siano per assumere parenti o darsi lustro personale? E quelli bravi, che insegnano e arricchiscono gli alievi, che ci sono, si facciano sentire e facciano terminare i concorsi truccati e l’omertà, se no non ce n’è per nessuno
almeno fino a quando non si sara’ ripulita un po’ da baroni, amanti, amici e amici di amanti…che si muovono piano, a testa bassa come sciacalli…pronti a invocare periodicamente LA GRANDE SANATORIA ! il tutti dentro che cambia sempre nome (“autonomia”, “centri di eccellenza”, etc.) ma che sempre in una direzione va: quella di sistemare i nullafacenti che vegetano negli atenei.
bisogna cambiare i rettori e buona parte del corpo docente. L’ennesimo tentativo di una casta di preservare il proprio squallido potere
La situazione dell’Università italiana è catastrofica ed effettivamente solo un’azione decisa e finalizzata del governo può salvare l’Accademia italiana. Però vorrei che un minimo di “mea culpa” fosse almeno recitato dai Rettori e dalle componenti istituzionali che hanno fatto la politica universitaria degli ultimi 40 anni. Perchè, coem spesso accade, ora vediamo i risultati di scelte folli compiute negli anni passati quali il proliferare di Università,sedi e corsi di Laurea che avevano l’unico scopo di distribuire cattedre ad una classe docente sempre più squalificata, o la creazione di una fascia di ordinari squalificati(che oggi fortunatamente sta andando in pensione..) diventati ordinari per ope legis, secondo il motto: todos cabelleros, etc. etc. Queste cose ci hanno già messo di fatto fuori dall’Europa molti anni fa, ma allora i Rettori non si lamentavano…. Si raccoglie quello che si semina. Punto
Conosco bene le università dal loro interno. La CRUI non rappresenta nessuno, solo i rettori che vi siedono. Non rappresentano la dirigenza universitaria, i professori che non hanno incarichi decisionali, i dipendenti, i collaboratori, gli studenti: parlano per mantenere il proprio status di ordinari ammanicati. Vogliono più autonomia? Quante balle, le università hanno pochi soldi perché per DECENNI hanno usato valanghe di soldi statali per dare progressioni di carriera ai colleghi, con poche nuove assunzioni. E appalti fatti male, servizi inefficienti, poca ricerca salvo alcuni centri di eccellenza, dirigenti troppo pagati, personale mal distribuito. La didattica e la ricerca hanno poche risorse perché fiumi di denaro sono drenati in spese non essenziali o veri sprechi. Questi MANGIANO, MAGHEGGIANO e SPRECANO ai danni di giovani studenti e ricercatori. Lo Stato non versi UN CENTESIMO a università gestite da questa gente, aspetti che sia completato il ciclo di pensionamenti di questi anni. Poi se ne riparla. Se le università vogliono risparmiare per ora comincino a tagliare le esternalizzazioni e a fare meglio gli appalti dei servizi.
Da come si sono comportati con l’autonomia concessa , conviene revocarla subito . Se l’esempio è quello della Sapienza di Roma dove il rettore ha fatto entrare tutta la famiglia , allora è meglio centralizzare tutto.
il parlamento ha fatto una legge per non assumere parenti, e il giorno prima che entrasse in vigore via di assunzioni. + soldi ma + potere di mandare a casa rettori e parenti
invece di chiedere soldi dovrebbero tutti andarsene. se l’universita italiana é ridotta cosi é solo colpa loro. avete un’idea di quanti soldi pubblici girano in certe universita tra finanziamenti, progetti di ricerca che finiscono tutti nelle tasche dei baroni professori? ma con quale coraggio vengono a chiedere soldi dopo anni di sperperi e miope gestione?
Pesa certamente, su tutto questo, la presa sul senso comune della narrazione da “leggenda nera” sui “baroni” e sulla necessità di una promozione in Italia dell'”eccellenza” in termini di annientamento del “non-eccellente”, che si è sviluppata nel corso degli anni, che molto spesso è stata alimentata ad arte per creare consenso su operazioni di rafforzamento del controllo politico e di soffocamento delle risorse, e che in diversi interventi in questa sede ho cercato quantomeno di rimodulare e di rivedere.
Ma c’è anche un altro punto. Perché alcune prese di posizione non provengono da incompetenti facilmente suggestionabili dalle retoriche più in voga, ma sembrano arrivare da chi effettivamente vive o ha vissuto l’università in qualche forma, ed esprimono un malessere più profondo. Negli ultimi anni la CRUI si è imposta come interlocutore privilegiato del ministero per le trattative sui provvedimenti di riforma, marginalizzando, o quantomeno circoscrivendo ad alcuni ambiti specifici il ruolo di consulenza e di proposta del Consiglio Universitario Nazionale, organismo per sua natura più direttamente rappresentativo dei ruoli accademici e dei vari profili della popolazione universitaria, e delle diverse componenti che concorrono a formarlo.
Nel corso dell’elaborazione della “riforma Gelmini” del 2009-10, in particolare, la CRUI nel suo complesso ha finito per tenere una posizione piuttosto discutibile (criticata, peraltro, anche da diversi rettori, a conferma degli orientamenti comunque compositi all’interno della Conferenza), ma in fin dei conti influente su molti degli elementi distintivi degli assetti generati a fine 2010. Mentre altrove si puntava il dito sulla possibilità che l’atteggiamento governativo portasse a problemi poi puntualmente verificatisi, dal blocco della possibilità di assumere alle difficoltà nell’erogazione dei servizi relativi al diritto allo studio fino alla possibile espulsione di una generazione di precari dalle attività di ricerca, nella legislazione definitiva sono stati salvaguardati gli aspetti più rilevanti per quegli interessi di cui la CRUI si era fatta più o meno esplicitamente diretto portavoce:
- il potenziamento del ruolo dei rettori e degli organismi di governo centrale delle università nella vita delle singole sedi e nelle effettive possibilità di programmazione del lavoro;
- la salvaguardia, pur in un regime di spesa ristretto, delle tutele e di almeno una parte delle aspirazioni professionali di docenti e ricercatori strutturati, tradizionale “massa di manovra” elettorale in sede di competizione per le massime cariche di ateneo;
- ultima parola delle sedi nelle procedure concorsuali per i ruoli dell’amministrazione e soprattutto della docenza, pur in una forma di reclutamento su base nazionale che non rendesse gli atenei direttamente responsabili delle assunzioni;
- il mantenimento di equilibri consolidati negli ambiti di gestione che tradizionalmente rappresentano i punti di congiunzione della vita delle sedi universitarie con la politica e l’economia locale (edilizia, forniture, rapporti con le fondazioni culturali, varie forme di cooperazione con gli enti locali).
In conclusione, sembra oggettivamente difficile pensare che l’istituto che negli ultimi anni ha agito soprattutto come scudo di alcune delle più inquietanti “zone grigie” dell’amministrazione politica ed economica degli atenei italiani, ovvero di quei rapporti tra realtà locali e sistema universitario nazionale che storicamente hanno rappresentato il terreno di coltura delle amicizie più pericolose e delle più evidenti sacche di inefficienza contro cui è invece necessario scagliarsi. Al di là del buon senso delle proposte attuali, bisogna innanzi tutto chiedersi se nella CRUI esse abbiano trovato il giusto interprete, e se non sia invece necessario, in vista di un intervento sulla vita universitaria che si vuole davvero condiviso e “partecipato” da parte degli interessati, ripensare anche profondamente i meccanismi di rappresentanza.