Il male atavico di due fratelli rivali e l’effetto congenito della guerra alle proprietà e alle recriminazioni. Sono tra le prime mosse di una casa aperta, isolata e avidamente virile nell’Irlanda periferica di Martin McDonagh. Uno scenario in parte estraneo alle drammaturgie mediterranee, spossate da famiglie e serpenti in un’orchestra più collettiva, diversificata e caotica fino a mostrare ugualmente rivalse, competizioni e dolorose, rudi affermazioni dell’uno sull’altro.
La smania del vivere c’entra poco in Occidente solitario, copione marcatamente irlandese non soltanto per l’unico atto del bere che condanna o forse delinea i luoghi e le continuità dei personaggi, ma soprattutto per quella versione defilata, ma mai silenziosa di un villaggio in cui non sembra esistere rinascita per nessuno. Nemmeno per Padre Welsh, il parroco col vizio del whisky venduto di casa in casa e per contrabbando da Ragazzina, figurina ingenuamente ribelle e provocante.
A casa di Coleman e Valene, due fratelli rimasti orfani del padre per un incidente che si svelerà di fatto in una precisa responsabilità, le pareti sono colme di presenze votive in fibra di vetro. Una fissazione di Valene che sigla mobili e oggetti con l’iniziale del proprio nome a memoria di un patto segreto. I modi smodati, le opinioni barbare e gli insulti omofobi che insieme ai rutti fuoriescono dall’impudenza di Coleman, prendono la fisicità sanguigna di Claudio Santamaria, efficacissimo a non concedere remissioni a un fratello che parla strascicando e intonando bizzarramente le parole. Filippo Nigro è a proposito un perfetto Valene, che non si dà per vinto a vietargli di bere il proprio whisky e a perseverare nell’acquisto di statuine della Vergine con cui vorrebbe riempire la casa in balia di un atto di proprietà traballante.
Tra i due, Padre Welsh cerca compromessi senza soluzione e con loro finisce per stordirsi di alcol e sentirsi complice dell’ondata di crimini e suicidi del villaggio. La regia di Juan Diego Puerta Lopez – con cui Santamaria ha già affrontato La notte poco prima della foresta di Koltès – rincorre il linguaggio aspro e in sequenza di battute spesso troppo gemelle. Se il gesto biblico, l’archetipo dei fratelli nemici è sì una corrente fertile, proprio il suo continuo rimbalzo fino alla rottura esiziale e alla perdita irreparabile di chi ha tentato di sanarne il conflitto, avrebbe in sé tracce di adattamento prima dei coltelli e fucili puntati. Prima che Coleman bruci nel forno le sagome votive e Valene inizi a confessare i misfatti più orrendi.
L’eredità pendente sui loro capi sarebbe una meta sufficiente ad accorciarne e renderne più carnali i crescendo, a ridurre i dialoghi tra l’inettitudine di Padre Welsh (Massimo De Santis) e la segreta passione per lui di Ragazzina (Azzurra Antonacci). Le pareti vuote e piene alternativamente, gli occhi fissi e sbarrati di Valene, i soprusi subdoli di Coleman servirebbero a incalzare meglio e più rapidamente, pur comprendendo l’intento registico della dilatazione di un luogo quasi fuori dal tempo e, per questo, più primitivo e seccante perché immutato nelle usurpazioni da uomo a uomo.
Vale il fiato corto di una coscienza pressoché inesistente, e si finisce per ritrovare due della stessa carne a sciogliere rabbie e misericordie impossibili in bevute, mentre resta appesa al muro la lettera testamentaria di un parroco debole. Ancora una volta le famiglie regolano i conti a suon di duelli cinici e truculenti, ancora una volta il sapere antico del sangue è nulla a confronto con l’autorità di una roba intesa come fallimento di relazione.
fino al 10 febbraio 2013 – Teatro Tieffe Menotti Milano
Compagnia Gli Ipocriti
Occidente solitario
di Martin McDonagh
con Claudio Santamaria, Filippo Nigro, Massimo De Santis, Azzurra Antonacci
regia Juan Diego Puerta Lopez
Spettacolo inserito nella terna dei finalisti per i Premi UBU 2012 come migliore novità straniera
Filippo Nigro Premio le Maschere del Teatro Italiano 2012