Il migliorabileLuca Zingaretti: la libertà dell’arte, Ronald Harwood, Bersani e due ore di grande teatro

Ma che straordinario duello verbale, attoriale, psicoligico, intellettuale, è quello che  Luca Zingaretti e Massimo De Francovich sfoderano sulla scena mettendo in discussione sè stessi e il propri...

Ma che straordinario duello verbale, attoriale, psicoligico, intellettuale, è quello che Luca Zingaretti e Massimo De Francovich sfoderano sulla scena mettendo in discussione sè stessi e il proprio percorso d’interpreti teatrali nè “La torre d’avorio”, lavoro che l’inglese Ronald Harwood scrisse ormai vent’anni fa ma che mantiene ancora la freschezza e l’attualità bruciante di un conflitto rimasto ancora irrisolto e apparentemente senza sbocchi, come un cubo di Kubrick truccato o un labirinto chiuso. Incontrare Luca Zingaretti per uno che cerca di scrivere di teatro da una decina d’anni e che ha più o meno la sua età è anche un’occasione per fare il punto sul modo in cui la nostra generazione si è occupata del tema della libertà dell’arte nel paese in cui lo Stato e la politica dettano legge su tutto. Sarà per questo che hai scelto pure di dirigerlo “La torre d’avorio”? “Sì perché il problema del rapporto fra arte e cultura da una parte e potere politico dall’altra esiste da sempre e continuerà a esistere finchè ci sarà l’uomo e l’arte in genere, ma da noi in Italia assume caratteri unici perchè come ben dicevi Riccardo qui lo Stato di fatto una grande agenzia culturale che arriva ovunque, dalle tv ai nostri teatri, la cultura non esisterebbe in Italia se fosse lasciata tutta al mercato, però è chiaro che questa dipendenza dallo Stato limita inesorabilmente la libertà dell’arte. Lo Stato per l’arte è come una grande placenta,che difende la cultura ma le impedisce anche di affermarsi e crescere liberamente”.

La pièce di Harwood esplora quella sottile linea d’ombra che fa dell’artista un uomo libero o un corifeo, un vassallo alle dipendenze della politica, muovendo le mosse dalla storia di Wilhelm Furtwängler, il “custode” dei Berliner Philharmoniker che nella Germania di Hitler preservò il prestigio della cultura musicale tedesca nel mondo. Guardandolo Luca lo spettatore malizioso come me non poteva non pensare, con il beneficio d’inventario di un paragone improponibile, al sistema di corte che ha conosciuto il nostro paese negli ultimi 20 anni, dove si andava in tv o si veniva finanziati dallo Stato solo se si era nelle grazie di un monarca, seppur democraticamente eletto. Che mi dici, esagero?

“Ogni traslazione al presente è legittima, se davvero l’arte esprime domande universali. Il caso di Furtwangler è affascinante: lui che non aveva mai preso la tessera del partito, finita la guerra, fu umiliato, processato, ne uscì assolto ma in pratica la sua carriera conobbe lì la sua fine, mentre, ironia della sorte, quella di von Karajan, il rivale, che di tessere naziste ne aveva addirittura due, da lì prese il volo. Il dilemma rimane aperto, il conflitto del testo si trasferisce sul pubblico che si sente parte in causa e chiamato a dare una sua risposta”.

E se succedesse a te, che farebbe oggi l’artista Zingaretti se dovesse trovarsi in una situazione come quella di Furtwangler? Se ne andrebbe da questo paese? “Negli ultimi tempi mi sono seriamente posto il problema – mi dice sgranando gli occhi – soprattutto se far crescere mia figlia che non ha ancora due anni in un paese dove la cultura è tutto ma conta niente, e dove un ministro arriva a dire che di cultura non si mangia. Anche per questo, come reazione, urgenza morale, ho deciso di mettere in scena questo testo. Però non possiamo andarcene tutti e non voglio che mia figlia da grande mi dica: ma tu, quando tutto questo è successo, tu dov’eri? Importante è restare qui a lottare, come può fare ognuno nel suo ambito, testimonire il valore della libertà civile, dello spirito critico, della bellezza del pensiero libero in un’epoca in cui in Italia si è ricompensato solo il conformismo, se non proprio il servilismo.”

Tra due settimane è tempo di scelte politiche anche cittadino Zingaretti Luca, quanto a Nicola tuo fratello si tratta di un appuntamento in prima linea: ” Ma sì, io non ho problemi Riccardo a dirti che voto Bersani, bisogna serrare le fila, mi piace la sua serietà, la sua schiettezza, il suo anche non essere perfettamente telegenico. Dicono che non sappia raccontare barzellette e che non buca il video: se è su questo che dobbiamo basare il nostro voto meglio andarsene davvero. Ma io ho ancora speranza.”

Tornando al nostro teatro Luca, nonostante la grande popolarità televisiva, aproposito presto sarai Adriano Olivetti per la Rai, non molli il palcoscenico, perchè?

“Guarda erano 15 anni che non facevo un ruolo in una commedia, mi ero quasi dimenticato il ruolo del pubblico che davvero modifica un testo, che emana energia, rispetto al cinema c’è un altro tipo di concentrazione: devi essere quel personaggio ma devi anche essere presente a te stesso.Continuo a pensare che un vero attore, ammesso che io lo sia, non possa fare a meno del teatro.”

E l’Umbria: cos’è che Zingaretti ama di questa regione? “L’Umbria è nonostante tutto un’oasi di pace, che preserva un’alta qualitò della vita. Non c’è una città di provincia così piccola che abbia 5-6 repliche a teatro in abbonamento, tanto per dire del vostro attaccamento alla cultura. Poi ci sono gli amici, te mi che vieni a chiedermi un’intervista. Spero solo che non titolerai su Bersani, di politica riconosco che è più ferrato mio fratello, lasciamola a lui…”.

Si replica al teatro Morlacchi di Perugia fino a domenica.10 febbraio.

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