ResilienzeMalattie rare, quando la domiciliare non è un diritto

Tra pochi giorni celebreremo la giornata mondiale delle malattie rare. Sarà il 28 febbraio. Portiamoci avanti e raccontiamo una storia. Angela Betti è una simpatica signora toscana. Parla con voce ...

Tra pochi giorni celebreremo la giornata mondiale delle malattie rare. Sarà il 28 febbraio.

Portiamoci avanti e raccontiamo una storia.

Angela Betti è una simpatica signora toscana. Parla con voce squillante e serena. E’affetta dalla malattia di Fabry, una malattia che causa la non produzione di un enzima, con conseguenti danni al metabolismo della persona. Genetica, ereditaria, colpisce più membri di una stessa famiglia.

Fino alla scorsa estate poteva assumere il farmaco di cui necessita per vivere a domicilio. Poi, è entrata in sperimentazione con un nuovo farmaco. Sono trentotto in tutto il mondo a prenderlo, ora.

“Il primo medicinale che è servito a curarci – racconta – è stato scoperto anch’esso da poco. Sei anni fa è morto di ictus mio nipote. Era stato uno dei primi ad iniziare questa terapia che si fa in infusione”.

Angela ha anche una sorella affetta dal morbo di Fabry, solo che lei ha una forma più grave di quesrta malattia e così l’infusione dell’enzima la può fare solo in ospedale, sotto controllo. E non è potuta entrare in sperimentazione mondiale con il nuovo farmaco.

Se Angela non fosse entrata nella sperimentazione però, sarebbe dovuta andare in ospedale anche lei. Cento chilometri ogni quindici giorni, dal Mugello al Careggi di Firenze. Quando le chiediamo se, finita la sperimentazione mondiale, tra più di un anno dovrà tornare a fare l’infusione in ospedale lei si schernisce e dice: “Vabbé, non fa niente. Ora mi sono anche trasferita più vicina, a Firenze”. Però poi ammette: “Certo, ma perché dovrei occupare un posto letto, che ha un costo, quando a casa posso farla con più comodità e a costo zero?”.

Angela come altre persone affette come lei dalla malattia di Fabry non possono più usufruire paradossalmente di una domiciliare “no-cost”: la Regione Toscana ha sospeso ad aprile la possibilità di un servizio a casa, offerto, oltretutto a costo zero dalla ditta produttrice dell’enzima che serve a curare la Fabry.

Sembra davvero una decisione paradossale in tempi di spending review, quando si conta in ogni ospedale davvero il centesimo.

“Era stata una esperienza positiva quella della somministrazione del medicinale a casa – commenta Angela – mi ero trovata molto bene con infermieri e staff medico”.

Oltre alla Toscana, secondo Caregiving Italia, che fornisce questo supporto, anche il Piemonte, l’Emilia Romagna, la Liguria e il Veneto avrebbero detto di no a questo servizio domiciliare a costo zero.

Perché?

In Veneto, in particolare i malati che potrebbero usufruirne son ben cinque: numeri che sembrano infinitamente piccoli rispetto ad altre patologie. Ma che hanno il diritto di essere ascoltati e favoriti: sono persone.

In una regione che è spesso e volentieri additata come esempio di sprechi e malasanità, il Lazio, invece, dobbiamo dare atto di essere questa volta è teatro di un caso positivo. Qui la domiciliare, infatti, si può fare.

La signora Roberta Davani racconta: “in famiglia siamo in cinque ad avere questa malattia e in tre, io, mio figlio e mio nipote facciamo la terapia domiciliare assieme. Tutto in questo modo è molto più semplice, pensi che cosa vorrebbe dire spostarsi su Roma. Così, sottoponendoci ovviamente anche ai dovuti controlli, possiamo fare una vita normale, continuare a lavorare”.

Allora riaffermare il diritto alla cura di chi è affetto dalle tante malattie che hanno poche persone, ma che sono numerose – ben centro quelle che sono state aggiunte recentemente in Italia nei nuovi livelli essenziali di assistenza – significa fare i conti con queste storie. Significa chiedere ragione a queste regioni del perché di una rigidità rispetto alla facilitazione di una vita serena, come quella di Angela e Roberta. Alla quale non è possibile negare anche un diritto. Pure a costo zero.

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