All roads lead to RomeSpotify meglio tardi che mai

A distanza di cinque anni dal lancio nella sua terra d’origine, la Svezia, e in alcuni paesi del nord Europa, lunedì 11 febbraio Spotify ha iniziato le proprie trasmissioni on-line in Italia. Il se...

A distanza di cinque anni dal lancio nella sua terra d’origine, la Svezia, e in alcuni paesi del nord Europa, lunedì 11 febbraio Spotify ha iniziato le proprie trasmissioni on-line in Italia. Il servizio offre l’accesso in streaming a milioni di brani caricati sul Cloud, dando vita a una sorta di radio o juke-box celestiale che l’utente controlla mediante un programma o un’applicazione scaricabili gratuitamente su computer, telefono cellulare o tablet.

L’offerta è diversa rispetto a quella di piattaforme tradizionali quali iTunes di Apple perché Spotify non vende copie di brani musicali (se non in misura limitata) ma ne propone direttamente l’ascolto con modalità che dipendono sia dalla scelta del singolo utente, nell’ambito di varie categorie di selezione dei brani, sia dal metodo di finanziamento del servizio. Spotify è infatti un classico esempio di servizio freemium che abbina a un’offerta gratuita (e limitata) di musica, finanziata dalla raccolta pubblicitaria, un’offerta con accesso illimitato ai repertori e senza interruzioni pubblicitarie, che richiede all’utente il pagamento di una quota mensile che, in Italia, è di 4,99 oppure 9,99 Euro (quest’ultima per la fruizione di registrazioni di qualità tecnicamente superiore, fruibili su dispositivi mobili anche in modalità off-line).

Per la facilità d’uso del software, la forte dimensione social e la varietà delle funzioni offerte (dall’ascolto integrale di album alla creazione di stazioni radio incentrate su un genere o sullo stile di un determinato artista o gruppo), Spotify è forse la piattaforma di musica on-line di maggior successo a livello internazionale, capace di rivoluzionare la fruizione di vasti repertori musicali e offrire, inoltre, una valida alternativa allo scambio illegale (perché non autorizzato dai titolari dei diritti d’autore) sulle piattaforme di condivisione peer-to-peer.

Il lancio è sicuramente una notizia positiva per l’industria culturale, anche se il suo grande ritardo rispetto ad altri Paesi pone degli interrogativi rilevanti, dal punto di vista sia economico sia culturale. Perché si è dovuto aspettare così tanto per avere un servizio di questo genere in uno dei mercati numericamente più rilevanti d’Europa? Non è forse anche l’assenza di servizi innovativi quali Spotify per la musica, così come Netflix per il cinema, che ha permesso alla fruizione illegale di contenuti creativi in Italia di proliferare e imporsi come modalità dominante, a discapito della sostenibilità economica della produzione artistica?

Sarà interessante seguire lo sviluppo di Spotify in Italia e verificarne l’andamento, anche in relazione a quello di diretti concorrenti quali Deezer, anch’esso partner di Facebook (con le cui credenziali è possibile accedere a entrambi i servizi). In particolare, in un Paese in cui è ancora poco sviluppato il concetto di dover pagare per l’accesso a contenuti digitali di qualità su Internet, sarà indicativo, a distanza di qualche mese dal lancio, verificare la percentuale di utenti che avranno scelto una delle offerte a pagamento. Altrettanto decisiva per il successo dell’iniziativa sarà l’abilità di Spotify di raccogliere inserzioni pubblicitarie e di distribuirle in maniera personalizzata ed efficace su tutto il territorio nazionale. Non è casuale in questa prospettiva che a capo dell’impresa in Italia sia stata chiamata Veronica Diquattro, ex manager di Google, dominatore incontrastato del mercato della pubblicità su Internet.

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