Ci risiamo. Ogni volta che succede un evento di grande portata, ecco spuntare la nostra innata tentazione di trasformaci in un popolo di esperti. Non importa quanto l’argomento sia importante, profondo, o che richieda un minimo di competenze tecniche: di volta in volta ci trasformiamo in un popolo di commissari tecnici, di pubblici ministeri, di economisti e così via. Questa volta il corso degli eventi (e della storia, direi) ha deciso di farci diventare un popolo di vaticanisti, e in tempo di record.
In meno di ventiquattr’ore dall’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, stiamo vedendo uno sbocciare di esperti senza pari, e talvota di dubbia competenza. Qualche esempio: oggi Repubblica ha intervistato Nanni Moretti (regista), ad Agorà Maurizio Lupi (un politico) e Gianluigi Nuzzi (il giornalista del caso Vatileaks) stavano discutendo sulle motivazioni delle dimissioni del Papa. È stata ripresa l’intervista di qualche tempo fa di Umberto Eco (linguista) che, su un giornale tedesco, dubitava della preparazione filosofica di Ratzinger. E ci è cascato pure il New York Times, che ha affidato il commento del papato di Benedetto XVI ad un regista teatrale.
Ora, è vero che la portata dell’evento – e quindi la sua notiziabilità – fanno sì che ci sia un disperato bisogno di commenti che ci aiutino a capire, ma mi chiedo cosa queste figure possano aggiungere al dibattito.
E sopratutto come possano rispondere in modo esaustivo alle grandi domande che le dimissioni di Ratzinger ci pongono.