Ogni rivoluzione inizia laddove l’esistente ha finito di rappresentare il reale.
La rappresentanza politica si pone infatti, nei confronti del corpo elettorale, in una relazione biunivoca: esiste fintanto che il rappresentante rappresenta il rappresentato e fintanto che il secondo si sente rappresentato dal primo.
Il quadro scaturente dalle elezioni politiche, quindi, sembra essere proprio quello disegnato da una sovranità popolare rivoluzionaria, intenzionata a discostarsi da un corpo politico non più capace di esserne specchio fedele.
Il Cerbero parlamentare partorito dalle urne vede ora ogni testa in aperto contrasto e per molti aspetti incompatibile con le altre, dando vita a quello che, sotto molti profili, pare destinato ad essere un suicidio assistito dell’organo costituzionale parlamentare.
Il più grande errore commesso da tutti i partiti presentatisi al voto è stato quello di dare per scontato il corpo elettorale, dando vita ad una manifestazione di arroganza autoreferenziale che ha dato adito ad un vastissimo consenso “extra sistema” riversatosi sul Movimento 5 stelle.
I partiti, in sostanza, non si sono resi conto di aver perso gran parte di quella capacità rappresentativa necessaria ai fini della loro stessa esistenza.
Le dinamiche che hanno portato all’affermazione travolgente del movimento di Beppe Grillo, tuttavia, vanno oltre alla semplice etichetta di voto dato al “populismo”.
Lo si può vedere anche da un mero dato numerico: il 25% dei voti ottenuti su scala nazionale, infatti, ha dato legittimazione democratica a singoli candidati che, grazie alla legge elettorale vigente, sono stati inseriti nel famoso “listino bloccato” grazie al sostegno loro dato da qualche centinaio (in alcuni casi, addirittura, qualche decina) di sostenitori militanti.
In altre parole, non necessariamente un voto espresso al Movimento 5 stelle equivale a sostenere Beppe Grillo, leader indiscusso ed unica opinione autorizzata (finora) a definirne prospettive ed equilibri.
Un voto in tal senso, per certi versi, trascende Beppe Grillo e trascende anche lo stesso Movimento 5 stelle. È un voto orientato alla richiesta di una rappresentanza ormai fiaccata, per non dire scomparsa, nelle forze partitiche attualmente operanti nel panorama nazionale.
L’inesperienza politica presa in sé, dunque, non risulta necessariamente un male, qualora l’eletto risulti capace di rappresentare esigenze sociali concrete e ritagliate sull’attuale, qualora i rappresentati vedano portate in Parlamento le istanze dei problemi quotidiani, ultimamente dimenticate dalla politica partitica tutta, attenta, più o meno esplicitamente, solo alla propria autoconservazione.
Sui singoli eletti del Movimento 5 stelle, in sostanza, grava ora il compito che è stato loro affidato, non senza certi connotati “rivoluzionari”, dal corpo elettorale: essere portatori di rappresentanza reale.
Considerato che, nell’ambito dell’attività espletata per il tramite del mandato parlamentare, la “voce unica” loro imposta da Grillo perderà molta della forza catalizzatrice e limitativa della libertà di movimento politico, sarà ora compito di tutti questi neofiti della vita istituzionale quello di dimostrare che la scommessa rivoluzionaria fatta da molti non sia stato solamente frutto della disperazione dell’essersi rivolti a qualsiasi cosa che non fosse la rappresentanza evanescente dei partiti politici esistenti.
28 Febbraio 2013