Per le bizzarrie del marketing o per una geniale trovata di Harmony Korine (regista underground autore dei difficili Gummo e Julien Donkey Boy), Spring Breakers si presenta come una commedia adolescenziale, con Selena Gomez (ex Disney Channel, ex di Justin Bieber) che fa gridare ragazzine e ragazzini. Inutile citare il demenziale sottotitolo italiano. Si dice che all’anteprima parigina al Grand Rex in presenza delle quattro attrici e di Korine, centinaia di fan sotto i 16 anni abbiano invaso il tappeto rosso a caccia di autografi, mentre due tredicenni sono scappate in lacrime dopo qualche scena “troppo forte”. “Non so che tipo di film vi attendiate di vedere” – ha detto il regista di fronte alla folla in delirio – “ma sicuramente non questo. Abbiate lo spirito aperto!”
Per una volta, lo stile da videoclip, tutt’altro che gratuito, è un’estetica finalizzata al racconto, allo stile tamarro, fatto di belle macchine, catene d’oro, rap e crimine. Korine dipinge questo mondo trash e inquietante, con un tono grave, anche se mai esplicito e senza rinunciare a James Franco (straordinario) e alle quattro ragazze perennemente in bikini – persino in udienza davanti al giudice – tra cui la moglie, Rachel Korine, e appunto Selena Gomez. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno, Spring Breakers è un film serio.
Subisce e trasmette il fascino dei corpi, delle spiagge assolate della Florida, del divertimento/devastamento giovanile. Dietro i bikini colorati, i tramonti arancioni e le luci al neon, c’è comunque qualcosa che resta, una certa inquietudine, non tanto dovuta ai gangster che si rivelano alla fin fine più sensibili delle “bad girls”, quanto al peso della scelta. Non è una visione semi allucinatoria fine a se stessa dunque ma la descrizione di un mondo, in parte reale – quello dello spring break quando degli studenti americani si lanciano in una settimana sfrenata di alcol, sesso e droga e poi tornano a casa come niente fosse – ma anche quello di quel periodo della vita in cui sembra di poter avere tutto, decidere tutto senza costrizioni, e c’è chi si tira indietro, chi va avanti e chi in fin dei conti e dopo tutto, sente uno strano vuoto di fronte allo sbrilluccichio di un mondo che si rivela meno appassionante di quel che sembrava.
E il montaggio mostra un bell’effetto retorico che rimanda alla problematica delle conseguenze delle scelte. Negli spezzoni più trascinati dalla musica, Korine inserisce dei frammenti degli eventi che seguiranno, dei piccoli flashforward, dettagli apparentemente di contesto, estetici, ma che influiscono sul nostro modo di vedere e “sentire” gli eventi: mettono in prospettiva tutte le nostre attese su cio’ che verrà in seguito. La mano insanguinata di Franco ci fa supporre una scena di violenza in cui Franco perderà la vita: la attendiamo, ma nulla accade come avremmo potuto immaginare.
Korine descrive uno spaccato della società, come d’altra parte faceva fin da Gummo, ne costruisce un immaginario reinventato e cinematografico, e ce lo presenta, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni.