Che fine hanno fatto i diciottenni? cosa fanno? cosa dicono? cosa pensano? Nessuno lo sa. Facciamo un tentativo insieme. Andiamo su Google. Scriviamo: “avere diciotto anni nel 2013″. Risultato? Si parla di pensioni, contributi e cinquantenni.
Che vorrà dire tutto ciò?
Ipotesi a) “I 50 sono i nuovi 18″. L’età dell’oro dove tutto quello che di impegnativo e responsabile dovevi fare lo hai già fatto. Probabilmente sei vicino alla pensione e quindi non ti resta che lasciarti andare alla “crisi di mezza età”. Perdi peso, compri una macchina sportiva e investi del tempo nel scegliere l’ultimo modello di Rayban.
Ipotesi b) Avere 18 anni è impossibile. Sei già catapultato nel vortice di ansia che si chiama FUTURO. Il lavoro, l’università, Italia non Italia, omosessuale o eterosessuale, l’esame, mamma, papà e nonna. Speri in cuor tuo di passare più velocemente e indolore questa fase di transito. Rigurgito dell’adolescenza e preambolo all’età adulta.
Ipotesi c) Nessuno ne è interessato. Forse l’ipotesi peggiore. La classe invisibile che pesa sulla responsabilità dei genitori (se presenti). Alla ricerca di indipendenza che però è costantemente posticipata data la mancanza di reddito autonomo. Qual è il ruolo delle istituzioni in questo processo di crescita? Potrebbero accompagnarlo, ma sono più come zii di secondo grado. Non sai bene se ti sono parenti o no, ma li hai sempre chiamati “zii”. Ti fanno il regalo alle feste comandate come minimo sindacale. Tuttavia non fanno parte della tua quotidianità e non sai nulla di loro a parte quello che ti raccontano i tuoi.
Avere 18 anni nel 2013 è un insieme di queste tre opzioni.
Tanti valori e non-valori tutti plasmabili. Sostanza e non forma.
In questo le Istituzioni dovrebbero inserirsi