FocusMéditerranéeL’Harlem Shake sbarca in Nord Africa: muovi il bacino per far sentire la tua voce

di Giulia Aubry | FocusMéditerranée Dopo aver rallentato la produttività in tutti gli uffici del mondo, l'evoluzione dell'Harlem Shake - da danza a canzone, a video virale -, ha definitivam...

di Giulia Aubry | FocusMéditerranée

Dopo aver rallentato la produttività in tutti gli uffici del mondo, l’evoluzione dell’Harlem Shake – da danza a canzone, a video virale -, ha definitivamente condotto il “ballo pelvico” in una nuova dimensione: alla fine di febbraio scorso, un gruppo di fondamentalisti salafiti ha cercato di impedire la realizzazione di un video in una scuola di lingue di Tunisi.

http://www.independnews.com/society/harlem-shake-in-mena-move-your-pelvis-to-raise-your-voice/

La caotica danza, in cui si muovono freneticamente fianchi e bacino, è divenuta virale a seguito della pubblicazione di un video da parte di un gruppo di teenager australiani, che si dimenano nella loro stanza sulle note della musica creata dal DJ americano Baauer. In pochi giorni le immagini caricate su Youtube da questi ragazzi sono state viste da 18 milioni di persone in tutto il mondo.

Dopo di loro, soldati dell’esercito norvegese, minatori australiani, giocatori di Basket NBA dei Dallas Mavericks e dei Miami Heat, calciatori del Manchester City e dello Swansea – e persino lo staff della CNN -, e molti altri, si sono cimentati nell’Harlem Shake pubblicando le loro performance sul web.

Ciascuno di questi video ha una durata compresa tra i 30 e i 32 secondi. La brevità e l’immediatezza sono sicuramente due degli elementi del loro incredibile successo. Normalmente il video comincia con un persona, spesso mascherata, che balla da sola per una quindicina di secondi, circondata da altre che continuano a fare le loro cose senza mostrargli attenzione. Quando il basso si ferma, però, un’intera folla compare sul video ballando convulsamente per altri 15 secondi.

Anche se il meme (così vengono chiamati i messaggi virali che viaggiano su internet) non riproduce l’originale Harlem Shake (originariamente chiamata “the albee” e inventata nel 1981 da un residente di Harlem di nome “Al B”), il video ha contribuito a far raggiungere alla canzone il numero 1 della classifica di Billboard, grazie al nuovo conteggio, che include le visualizzazioni dei pezzi su Youtube, prendendo immediatamente il posto del precedente successo virale, GanGnam Style.

L’esperienza tunisina con il video ha avuto inizio quando un gruppo di studenti della scuola El Menzah nella capitale hanno deciso di produrre la loro versione, dando vita a un fenomeno che ha immediatamente invaso il Paese e avuto numerosi emuli. Nel video girato ad El Menzah alcuni studenti ballano vestiti nei loro abiti normali, altri travestiti da salafiti e altri ancora da emiri del Golfo. Il ministro tunisino dell’Educazione, Abdellatif Abid, non ha gradito la performance e ha annunciato un’inchiesta sul preside della scuola, che “ha permesso la realizzazione di un video indecente”. Solo il giorno dopo, un gruppo di studenti universitari si è dato appuntamento davanti al Ministero per l’Educazione, per una nuova versione collettiva dell’Harlem Shake e numerosi altri video sono stati pubblicati su Youtube.

Come era già accaduto (con ben altri sentimenti) con le immagini della morte di Mohammed Bouazizi, l’Harlem Shake di El Menzah è subito sbarcato in Egitto. Centinaia di manifestanti, la maggior parte uomini, al grido di “andatevene, andatevene” hanno danzato davanti al Quartier Generale dei Fratelli Musulmani al Cairo, mandando il video in diretta sul web. La protesta, oltre che dell’analogo movimento tunisino, è stata diretta conseguenza dell’arresto di quattro studenti di farmacia dell’Università del Cairo, accusati di aver violato la decenza pubblica ballando l’Harlem shake in mutande.

Ancora una volta un meme è stato “come una febbre” per i giovani nordafricani che vogliono far sentire la propria voce contro i vecchi e i nuovi regimi, servendosi di strumenti creativi e di humour. Come molti di loro hanno affermato “questo è il nostro linguaggio, il modo in cui chiediamo il nostro spazio in una vera democrazia. Questo è quello per cui abbiamo lavorato e combattuto negli ultimi due anni”. Ora loro – e forse anche noi – restiamo in attesa di una risposta “più creativa” da parte dei regimi islamici. La “guerra dei meme” è appena cominciata.

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