Argentina agrodolceQuando passare la dogana è ancora un incubo

Un nuovo atterraggio a Buenos Aires mi ha riservato un’ennesima sorpresa. Non posso dire che non ero stata avvisata. “Attenzione che alla dogana di Ezeiza aprono le valige e controllano tutto”, mi...

Un nuovo atterraggio a Buenos Aires mi ha riservato un’ennesima sorpresa. Non posso dire che non ero stata avvisata. “Attenzione che alla dogana di Ezeiza aprono le valige e controllano tutto”, mi aveva scritto un’amica premurosa, rientrata pochi giorni prima di me. Sono anni che ci mettiamo in valigia beni di “prima necessità” (medicine, integratori, latte in polvere, creme, ma poi anche scarpe, occhiali, libri, telefoni, goloserie), convinte che senza quelli, senza “quella qualità”, non è proprio possibile sopravvivere. Essere italiani in questo senso è proprio una bella fregatura (ti metteresti in valigia tutto…o quasi), e lo è ancora di più quando si vive in un paese come l’Argentina, dove da tempo non si trova più nulla di importato, un inconveniente che si somma a disagi ben più seri del vivere quotidiano.

La febbre del “importado” diventa allora una malattia dilagante, che serve a sedare problemi più urgenti. Se in città hai la fortuna di trovare qualcosa che, come per magia, arriva da altri paesi, lo paghi, (e a volte sei anche disposto a pagarlo), il doppio (calcolato sul prezzo già inflazionato al 30%. In alternativa, non rimane altra soluzione che riempire le valige ogni volta che si ha la fortuna di poter viaggiare all’estero. Fino a poco fa non era insolito incontrare argentini all’areoporto con televisori ed elettrodomestici di ogni tipo. Ma oggi è diventato difficile poterlo fare per via delle misure restrittive applicate alla dogana.

Questa volta, quindi, per paura di infrangere le regole, ancora poco chiare, nelle mie valige niente Negronetto, niente parmigiano, né pinoli, né pasta d’acciughe Balena. “Solo prodotti per uso personale”, dice la dichiarazione dell’AFIP che ogni passeggero riceve in aereo all’arrivo a Ezeiza e che deve compilare, firmare e consegnare in dogana prima di entrare in suolo argentino. Come se la mia pasta d’acciughe la potessi (o volessi) vendere a qualcuno, o potessi sostituirla con una locale!
Niente telefono, né scarpe nuove: il documento da presentare in dogana spiega che si possono importare solo prodotti usati e nuovi che siano stati acquistati all’estero, ma che non superino il valore di 300 dollari, pena un ricarico del 50% sul prezzo d’acquisto. Per chi è in arrivo in Argentina, allora, ricordarsi di dichiarare tutto!

Dopo aver ritirato i bagagli sul tapirulant del nuovo e moderno terminal di Ezeiza, quando pensi che finalmente il lungo viaggio è finito e manca poco per uscire a respirare “los buenos aires”, un’interminabile fila fa sfumare questa bella sensazione. La coda disordinata e accalcata porta ai metal detector della dogana, dove si è costretti a scaricare nuovamente i bagagli, per poi ricaricarli sul carrello una volta passati sotto i raggi. Qui ho cominciato a sudare freddo cercando di ricordarmi ogni singolo oggetto contenuto nelle mie valige e in quelle dei miei figli, inclusi regali di Natale e compleanno. Che fare con l’Iphone regalatomi a Natale, con la giacca “seminuova”, con le scarpe “non tanto usate”, e con il teleobiettivo nuovissimo della macchina fotografica? Con la quantità di libri e al loro peso che inevitabilmente incide sui miei bagagli, che ogni volta richiama l’attenzione dei doganieri perché non riesco nemmeno a scaricarle dal carrello? Tanto valeva portarmi la pasta d’acciughe! E pensare che questa volta ero convinta di viaggiare “leggera” e, soprattutto, nel rispetto delle regole.

La fila è stracolma di gente impaziente e sbuffante. C’è chi parla al telefono snervato (anche perchè i cellulari in Argentina funzionano malissimo), e chi si lamenta cercando sguardi di approvazione intorno a sè. Carrelli e valige impacchettate sono ovunque. Alcune vengono aperte e ispezionate, altre passano inosservate, con un criterio non del tutto intuibile. Dopo un’ora e mezza di attesa, è il nostro turno. I bambini sono scocciati e accaldati e ascoltano amareggiati i commenti infuocati di un gruppo di turisti francesi indignati vicini a noi. Nel frattempo si avvicina una giovane mamma con un bambino urlante in braccio, che gentilmente viene fatta passare (in questo il paese è avanti rispetto a molti), ma che prontamente viene ripresa dai doganieri per colpa di una piccola banana, (unica salvezza per placare il bambino), che blocca quindi la fila per un’altra mezz’ora, ma grazie a lei, forse statisticamente, i miei bagagli passano inosservati. E così è stato.

Rifletto allora sul fatto che questa politica restrittiva alle importazioni, seppur abbia incentivato a migliorare alcuni prodotti locali, non potrà durare a lungo, perché oltre a danneggiare molti settori, prima o poi danneggerà anche il turismo, la vera ragione per cui milioni di persone visitano ogni anno l’Argentina: uno dei paesi più belli del mondo.

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