Nel mirinoCesura: una bottega di fotogiornalismo

  Photo by Arianna Arcara - Detroit   È un fatto che i giornali non abbiano più i budget di un tempo: siamo nel bel mezzo di una transizione epocale, le case editrici annaspano e provano a investi...

Photo by Arianna Arcara – Detroit

È un fatto che i giornali non abbiano più i budget di un tempo: siamo nel bel mezzo di una transizione epocale, le case editrici annaspano e provano a investire su internet, dove però le fotografie sono pagate – se sono pagate – una miseria, e i fotografi arrancano.

Ricevo centinaia di mail di fotografi disperati che non sanno più come fare e mi chiedono consigli, e anche se il futuro si muove certamente verso internet e le piattaforme di eReading, ora il periodo è veramente duro: bisogna ingegnarsi, soprattutto per scongiurare il pericolo che il mestiere del fotogiornalista diventi appannaggio di pochi privilegiati, riducendo drasticamente la pluralità dei punti di vista.

Photo by Andy Rocchelli – Kyrgystan

Ho conosciuto Gabriele Micalizzi tempo fa: è un fotografo di 29 anni, ha due figlie, fa il tatuatore dall’età di 19 anni, è dotato di una simpatia a dir poco contagiosa ed è una persona intelligente, instancabile, fiera delle sue origini proletarie, riguardo alle quali ripete sempre con la sua cadenza da ragazzo di strada “Io sono classe operaia”.

Photo by Gabriele Micalizzi – CAIRO REVOLUTION

A 29 anni Micalizzi ha abbastanza esperienze di vita da fare impallidire un vecchio sapiente: oltre ad avere documentato a lungo la “gioventù bruciata” che popola la nightlife underground italiana e inglese, ha viaggiato e registrato i riot a Bangkok, Roma, Atene, Tunisia, Libia, Egitto.

Photo by Gabriele Micalizzi – CAIRO REVOLUTION

Quando mi ha mostrato il suo lavoro sui ragazzini alcolizzati ero abbastanza frastornata; non si trattava delle decadenza romantica delle immagini di Nan Goldin o Corinne Day, né del trash estetizzato di Terry Richardson: le foto di Micalizzi erano raccapriccianti esattamente come quello che raffiguravano, senza alcuna estetizzazione.

Photo by Arianna Arcara – Detroit

Gabriele, insieme a un gruppo di amici capitanati da Alex Majoli, ha fondato Cesuralab – oggi diventato Cesura -, un collettivo di fotografi indipendenti che condividono spazio, attrezzature, progetti e idee. Nelle parole di Gabriele: “Iniziando a fare i fotografi volevamo semplicemente stare insieme e fare forza, quella forza di cui il singolo non può disporre”.

Photo by Lusa Santese – Detroit

La storia di Cesura assomiglia a una favola. Cesura è il nome del paesino sulle colline dove è nato il primo studio di Alex Majoli, a mio parere il più talentuoso fotogiornalista italiano vivente: classe ’71, membro dell’agenzia Magnum, Alex la fotografia ce l’ha nel sangue, scatta con la pancia, senza mediazioni intellettuali; le sue sono immagini travolgenti dentro le quali lo spettatore viene completamente catapultato. Circa cinque anni fa gli attuali fotografi di Cesura arrivano, per strade diverse, al suo studio. Majoli diventa così direttore artistico di questo gruppo di ragazzi a cui offre uno spazio, le attrezzature per lavorare, e soprattutto uno scambio di idee e consigli. Nasce quindi CesuraLab, una “bottega” della fotografia in cui gli allievi imparano un mestiere e sviluppano una propria cifra stilistica collaborando attivamente al lavoro del maestro.

Photo by Gabriele Micalizzi – Atena

Quando poi, due anni fa, i ragazzi sono finalmente pronti a camminare da soli, CesuraLab si trasforma in Cesura, un collettivo di fotografi indipendenti che condivide pariteticamente lo studio con Alex Majoli – che rimane comunque una presenza importante e un mentore.

Lo studio di Cesura

Lo statuto di Cesura ha come primo scopo la promozione e la diffusione della cultura fotografica: oltre a sviluppare i propri progetti lavorativi e di ricerca, produce progetti editoriali, realizza mostre, gestisce una casa editrice indipendente, crea programmi educativi organizzando workshop e incontri con i fotografi più importanti e significativi della contemporaneità.

Photo by Gabriele Micalizzi – Bangkok

Ma ciò che continua a costituire l’anima di Cesura è l’essere prima di tutto un luogo d’incontro, un laboratorio di idee e di confronto a cui qualsiasi appassionato di fotografia può partecipare. “Cesura significa anche taglio netto con il passato,” afferma Gabriele, “il che coincide con la nostra esperienza: il passaggio tra la fine di un’epoca della fotografica e l’inizio di un’altra. Un taglio totale con il passato. “

Photo by Gabriele Micalizzi – Bangkok

Sopra lo studio c’è un appartamento dove la maggior parte dei ragazzi e i loro collaboratori vivono: Gabriele ci tiene a sottolineare che sono tutti molto ordinati e che non è assolutamente una specie di comune 68ina: “I più anziani vivono qui in zona, altri hanno casa fuori e nel momento in cui devono stare in studio sfruttano l’appartamento che abbiamo in comune. I più giovani invece vivono stabilmente nell’appartamento comune dello studio. Le persone passano molto tempo insieme, confrontandosi quotidianamente; fondamentalmente abbiamo colonizzato un villaggio in campagna dove abbiamo stabilito la nostra base operativa e nel tempo abbiamo messo radici, chi più chi meno”.

Le colline dove sorge Cesura

Il gruppo è composto da Gabriele, Arianna Arcara, Andy Rocchelli, Alessandro Sala e Luca Santese, e insieme a loro, nello spirito da bottega che ha contraddistinto Cesura sin dalla sua nascita, ci sono dei collaboratori che, così come gli attuali membri in passato, aiutano nella gestione e realizzazione del lavoro allo scopo di apprendere un mestiere.

La strada dello studio

Cesura è una favola contemporanea, un esempio intelligente di una nuova forma di fotogiornalismo che cerca di superare la crisi del mercato editoriale puntando verso la rete e il self-publishing.

Photo by Andy Rocchelli – Caucasus Turmoils

La scelta della zona dove cercare lo spazio per far nascere Cesura è avvenuta con l’ausilio di un compasso: “Puntando su Milano (precisamente sull’aeroporto di Linate) abbiamo usato un raggio corrispondente a circa un’ora di distanza stradale.”

L’incisione originale del cervo

Anche il Logo di Cesura, un cervo stilizzato, ha una storia poetica. Lo spazio, prima che diventasse lo studio di Cesura, era il laboratorio di un fabbro che aveva la passione della caccia. Durante i lavori di ristrutturazione su un muro della galleria i ragazzi hanno trovato l’incisione di un cervo e hanno deciso di adottarlo come logo “perché si sposa alla perfezione con il nostro motto “FAR AWAY IN NATURE”: lontani dalle contaminazioni urbane, dai sistemi di pensiero preconfezionati e standardizzati del linguaggio fotografico e immersi “nella natura” in relazione a un rapporto autentico con la propria essenza.

Photo by Gabriele Micalizzi – LYBIA WAR

“Il mercato detta legge” – dice Gabriele – “ma noi cerchiamo di sopravvivere agli attacchi e rispondere dalla nostra roccaforte facendo quello che amiamo e in cui abbiamo fede: integrità e qualità.”