Ci hanno sempre insegnato che, seguendo l’articolo 1 della Costituzione, attraverso l’elezione diretta dei parlamentari la sovranità appartiene al popolo. Alla fine del 2005 però, con legge ordinaria, lor signori, i segretari/padroni di partito, ci hanno privato delle preferenze, fregandoci l’elezione diretta dei rappresentanti del potere legislativo e quella indiretta del Presidente della Repubblica. Nessuno ha più toccato questo vulnus costituzionale, neanche colui che, in un clima affatto teso (543 voti favorevoli al quarto scrutinio, cui sono stati contrapposte 347 schede bianche), proprio nel 2006 fu chiamato a essere il garante della Carta, tale Giorgio Napolitano.
Trattasi dello stesso Giorgio Napolitano che nel suo settennato non ha mai respinto nessuna delle molteplici leggi-vergogna delle due legislature che si sono succedute, accrescendo de facto i poteri della sua carica (vedi il caso delle intercettazioni di Mancino); lo stesso Giorgio Napolitano che, solo poco più di un anno fa, affidava la revisione della legge elettorale – ovviamente mai arrivata – agli stessi partiti (Pd, Pdl, Lega) che fino ad allora ne avevano abusato/beneficiato; lo stesso Giorgio Napolitano rieletto alla medesima carica con una maggioranza bulgara dai medesimi partiti – cui si è aggiunta Scelta Civica di Mario Monti, il suo premier personale dal novembre 2011 – che ha difeso strenuamente dal «demagogo di turno», Beppe Grillo; lo stesso Giorgio Napolitano che, anche sette giorni fa, diceva: «Non mi convinceranno a restare, sarebbe ai limiti del ridicolo»; lo stesso Giorgio Napolitano che, dopo il boom sempre negato del M5S, ne ha escluso i rappresentanti dall’allegra combriccola dei dieci saggi, composta esclusivamente da membri dei soliti partiti, secondo le regole del manuale Cencelli.
Trattasi, in sostanza, del perfetto garante del sistema che lo ha messo sul più alto scranno della Repubblica e che ha ferito la nostra Costituzione, della perfetta incarnazione del connubio tra prima e seconda Repubblica che, per altri sette anni (almeno sulla carta), rinvierà forzatamente il cambiamento da tutti tanto auspicato, solo a parole.
Ripercorrendo questi fatti, al di là di come la si pensi sulla sua figura, come si può dire che Grillo sbagli nell’affermare che, con la rielezione di Napolitano, «è in atto un colpo di Stato»? Come può questo stesso sistema redarguirlo ufficialmente attraverso una nota congiunta dei Presidenti di Camera e Senato e, soprattutto, con i suoi più scandalosi esponenti? Come può ad esempio Berlusconi denunciare «la comica marcia su Roma di Grillo e del suo fascismo buffo» e invitare a considerare «i possibili sviluppi di questo movimento senza democrazia»? Proprio lui, il padrone del Pdl, che un mese fa diceva che, con l’elezione di Grasso e Boldrini, eravamo «di fronte a un’occupazione militare di tutti i vertici istituzionali» tale da fargli minacciare «una mobilitazione permanente nelle piazze, nelle istituzioni e su tutti i media» (20/03/2013). Come può poi Maroni dire che «le stesse cose di Grillo le dicevano Mussolini o Hitler», sorvolando sui celeberrimi fucili di Bossi («I lombardi non hanno mai tirato fuori i fucili, ma per farlo c’è sempre la prima volta, 26/08/2007; «Abbiamo 300mila uomini, 300 mila martiri, pronti a battersi», 29/04/2008), nominato ministro da Napolitano senza batter ciglio, nonostante i noti vilipendi al tricolore e le condanne passate in giudicato? Se non stessimo parlando di un sistema volto unicamente alla sua autoconservazione, raggiungibile solo con l’ulteriore distruzione dell’Italia, potremmo pensare alla commedia dell’assurdo; la situazione, però, è tutt’altro che frivola.
ALESSANDRO BAMPA
per Wilditaly.net
P.S. Sempre per la serie «Libertà di opinione vs diffamazione», ecco il tweet del moderato Alessandro Sallusti sulla marcia grillina (rinviata): «Quell’imbecille di Grillo ha già tre morti sulla coscienza, uno era una bambino. Stia attento a non provocarne altri in piazza».