L'Aquila Blog. Opinioni a confronto sui fatti che contanoL’Aquila, «Sindaco, la mia carriola non te la presto»

«Le carriole dell’Aquila sono state elette a simbolo di un popolo oppresso, non sono uno strumento nelle mani di chi ha tante, responsabilità nelle vicende legate alla mancata ricostruzione della c...

«Le carriole dell’Aquila sono state elette a simbolo di un popolo oppresso, non sono uno strumento nelle mani di chi ha tante, responsabilità nelle vicende legate alla mancata ricostruzione della città e del suo territorio». Totò Di Giandomenico non ci sta a dover “prestare” la sua carriola al sindaco Cialente e compagni in vista della mobilitazione a palazzo Chigi. Il primo cittadino del capoluogo, in accordo con gli altri sindaci dei Comuni colpiti dal sisma, si è detto pronto ad andare a Roma martedì e raggiungere piazza Colonna con tanto di carrette cariche di pratiche per la ricostruzione. Le carriole, comparse a febbraio 2010, quasi un anno dopo il terremoto che ha colpito L’Aquila e l’Abruzzo, sono presto diventate simbolo di denuncia e partecipazione. Un simbolo che ha fatto breccia sui media nazionali e internazionali (anche il Washington Post dedicò un approfondimento alla mobilitazione) e ha costituito un valido contraltare a una realtà falsata dalla voglia di rappresentare il caso L’Aquila come un miracolo a tutti i costi. «Le istituzioni non hanno nulla a che vedere con le carriole, né con il popolo delle carriole», tuona Di Giandomenico, che tra l’altro sta affrontando un procedimento giudiziario legato alla mobilitazione. Il verbale di sequestro relativo alla sua carriola, trovata «in pessimo stato di conservazione» ha fatto il giro della rete. Intervistato da Fabio Iuliano per Laquilablog.it, Di Giandomenico rimarca che «le carriole sono il vessillo della riconquistata libertà dopo il periodo nero e buio della segregazione nei campi e nella diaspora nelle varie cittadine d’Abruzzo, non sono uno strumento di parte».

Di Giandomenico, la scelta di usare ancora una volta carriole non la trova d’accordo, sebbene nella recente festa della non-ricostruzione gli aquilani l’hanno vista sfilare in centro con una carriola neroverde. Qual è il motivo delle sue riserve?

«Le carriole, se vogliono portarsele a Roma, devono andarsele a prendere in tribunale, dove sono sotto processo penale anche per effetto di un’ordinanza del sindaco, che non ha inteso sospendere né revocare per i giorni delle manifestazioni. Di fatto, è stato impedito ai cittadini di riprendersi pezzi della propria città, rimuovendo contemporaneamente le macerie».

Lei si definisce spesso “cittadino senza città”. Perché da aquilano non si sente rappresentato da questa manifestazione che comunque porta con sé il vessillo di tutti i Comuni del cratere?

«Sono anni che come comitati, come uomini liberi, come Assemblea cittadina, diciamo che i fondi stanziati (alcuni ancora da erogare) sono appena sufficienti per pagare gli impegni già presi e questo nonostante le “sparate rassicuranti” del ministro Fabrizio Barca a cui hanno fatto coro tutti i rappresentanti delle istituzioni cittadine. Quando abbiamo esternato le nostre perplessità, Barca ci ha definito gufi: non so chi dà a costui l’autorevolezza morale e istituzionale per onorarci di tali gratificanti epiteti, ma tant’è: oggi il ministro dice le nostre stesse cose. Considerando i tempi, nasce il sospetto di un ennesimo gioco delle parti: facciamo un po’ di “ammuina” a Roma, e poi stanziamo i fondi, per quel che si può. Intanto si crea un po’ di visibiltà ai candidati in vista delle prossime tornate elettorali».

Parlando dell’Assemblea cittadina, giudica che le osservazioni venute fuori nelle ultime riunioni a palazzetto dei Nobili, siano state effettivamente ascoltate dai rappresentanti istituzionali? Quale feedback, secondo lei, ha avuto il “libro bianco della ricostruzione”?

«L’Assemblea cittadina ha sempre cercato di dare un contributo progettuale nell’esclusivo interesse della rinascita dell’Aquila e del suo territorio. Abbiamo prodotto un libro bianco, frutto del lavoro svolto in cinque assemblee tematiche, nel quale sono documentati gli impegni della spesa e le necessità in relazione ai progetti presentati. I nostri amministratori, nel far coro al ministro, hanno ignorato le nostre proposte e considerazioni. Oggi si svegliano, ma mi viene il sospetto che si stia predisponendo la fanfara per l’ennesima campagna elettorale».

Cosa dovrebbe, la comunità del cratere, chiedere a palazzo Chigi e al ministero dell’Economia e Finanze?

«Bisogna andare a chiedere (io direi pretendere) un regolare e sufficiente flusso di risorse finanziare per la ricostruzione, cioè l’unica certezza che famiglie e imprenditori devono avere. E questo non si fa urlando al cielo o abbaiando alla luna; non si fa minacciando di uscire dall’Italia, ma lo si fa in un modo semplice: tutte, e ripeto tutte le istituzioni, comune provincia, regione e parlamentari, insieme (sottolineo insieme) devono andare davanti al Governo per dire quali sono le necessità, e quali le conseguenti risorse da stanziare impegnare ed erogare. E’ questione di credibilità e autorevolezza. Punto».

Cosa impedisce, allora, una mobilitazione congiunta?

All’Aquila, persone senza scrupoli, preoccupate solo e soltanto delle proprie fortune elettorali, hanno lavorato solo per dividere, per crearsi il nemico verso il quale lanciare strali e accuse ogni giorno. D’altra parte, la irrilevanza della loro azione amministrativa, gli scarsi risultati della stessa, è sotto gli occhi di tutti. Per questa ragione, per esistere, per segnare una presenza, hanno offerto ai militanti e adepti vari il nemico verso cui lanciare accuse. Nel corso della conferenza stampa in Comune ci sono i soliti improperi contro la Regione. Prima ve ne erano anche contro il Governo, ma adesso Barca ha fatto scelte precise, perciò non si può più. Ecco, è esattamente quello che non si deve fare se si vuol essere credibili, e non si vuole alimentare il sospetto che tutto quanto si mette in campo serve solo a preparare la gran cassa per le elezioni prossime venture. Non è un mistero che probabilmente ci saranno presto nuove elezioni politiche, e si ha bisogno di mobilitare le squadre, così come ci saranno le regionali, e qualcuno della terna è rimasto fuori. Se ci sono divergenze di vedute tra istituzioni si chiariscano, perché poi si deve marciare tutti uniti per l’obiettivo. Ma questo è quello che farebbe una classe dirigente, che a noi manca, purtroppo».

Cosa non ha funzionato rispetto all’esperienza emiliana?

«Prendiamo esempio da fatti concreti: L’Emilia ha avuto stanziati 6 + 6 miliardi di euro per la ricostruzione e la rinascita; tutti i fondi saranno utilizzati con il meccanismo (inventato da Tremonti, non lo dimentichiamo) della Cassa depositi e prestiti. Non mi sembra che i sindaci o il presidente della regione siano andati urlando e strepitando a palazzo Chigi e abbiano buttato addosso agli uscieri forme di parmigiano reggiano. Sono stati semplicemente uniti, con le idee chiare su cosa fare e sulle necessità finanziarie, ed hanno ottenuto quello che han chiesto. Quella emiliana è quanto si definisce Classe dirigente, sia istituzionale sia sociale; quello aquilano è quanto di peggio esprime il ceto politico attuale».

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