Le votazioni del dodicesimo Presidente della Repubblica italiana passeranno alla storia della politica per due importanti motivi: il solito harakiri del PD, e del centrosinistra italiano in generale, ed il carattere estremamente social delle stesse elezioni. Dalle Quirinarie del M5S alle miriadi di sondaggi su quotidiani online o social network, i cittadini hanno preso parte come mai prima d’ora all’insediamento, ancora in alto mare, della prima carica dello Stato. E’ infatti apparsa notevolmente la distanza tra partiti e popolazione, le diverse aspettative e, soprattutto, la grande discordanza sulle candidature. Nomi come quelli di Prodi, Amato e D’Alema (per citare solo alcuni, per fortuna) hanno avuto un’accoglienza tutt’altro che euforica dall’opinione pubblica. In effetti è un paradosso attuare il tanto agoniato cambiamento e rinnovamento promuovendo alla presidenza della Repubblica i classici politici di professione italiani, che trovano il posto fisso una ragione di vita, tanto per smentire quanto detto da Monti. Gli stessi politici citati sopra sono stati protagonisti in un passato non troppo lontano di manovre economiche e politiche che fanno apparire il regime di austerity montiano un periodo pacchiano: da quando nel 1992 i conti correnti degli italiani si sono dimezzati improvvisamente con Amato, a quando Romano Prodi ha letteralmente svenduto aziende italiane come Alfa Romeo (ceduta alla Fiat di Agnelli per una somma irrisoria).
Non c’è da stupirsi dunque che le candidature appoggiate dalle maggiori coalizione come PD e PdL siano affossate, prima Marini, poi la caporetto di Prodi. L’influenza social è arrivata, per una volta, sino a Montecitorio. Merito sicuramente del M5S e del suo grande spazio dato agli elettori, e di del sindaco di Firenze Matteo Renzi, il temuto rottamatore. Questi due attori fondamentali dell’attuale panorama politico italiano si sono dimostrati coerenti alle parole spese da un anno a questa parte: niente inciuci, candidati condivisi e rinnovamento della classe politica. Mettendoli insieme alla tradizionale frammentazione del centrosinistra, hanno dato vita alla distruzione dell’anacronistico PD di Bersani e Bindi (con le loro dimissioni consegnate proprio oggi) e delle loro altrettanto anacronistiche candidature, appoggiando invece un individuo della società civile, giurista, e da sempre impegnato politicamente come Stefano Rodotà.
La rete quindi si è nettamente espressa contro le classiche candidature, è evidente nei social network e dall’esito delle Quirinarie, con vincitori appunto la Gabanelli, Strada e Rodotà. E’ evidente inoltre come la classe politica non riesca a dare continuità al processo politico, alimentando la sfiducia nella popolazione. A questo punto è giusto citare Aldo Cazzullo del Corriere della Sera che, durante le 10 ore di collegamento di La7, afferma poco ironicamente “la prossima volta è meglio farlo eleggere direttamente a loro [i cittadini, ndr] il Presidente”. Siamo pronti per il presidenzialismo quindi? Io penso ad un presidenzialismo di stampo americano, che si ponga a salvaguardare la nostra Costituzione, ovviamento non ad un presidenzialismo “berlusconiano”, come il leader del centrodestra va predicando da vent’anni. D’altronde, se la classe politica si rende incapace di dare garanzie sul futuro, chi meglio degli stessi elettori può fare questa scelta?