MarginiAldo Masullo a Ballarò

Ieri, nel mercato (Ballarò è originariamente un mercato di Palermo), un folle con una lampada, in pieno giorno (la luce artificiale dei riflettori di uno studio), è intervenuto a parlare. A dire qu...

Ieri, nel mercato (Ballarò è originariamente un mercato di Palermo), un folle con una lampada, in pieno giorno (la luce artificiale dei riflettori di uno studio), è intervenuto a parlare. A dire qualcosa di bizzarro, di recalcitrante rispetto alle parole garbate, o affannose, di economisti e politicanti. Di fronte alla vana ciarla del dibattito pubblico, all’inconsistente commedia del battibecco politico-giornalistico, alla ricerca affannata della miglior battuta, o del twitter più azzeccato per cavalcare l’onda del dio istantaneo, la parola del filosofo si staglia lucida, profonda, limpida come il mare di Ventotene in ottobre. E non meraviglia più di tanto che tanta gente si chieda, stupita: «Ma chi è mai, questo? Da dove è uscito, e che viene a dire?». Come se la restituzione della parola alla sua gravità semantica fosse talmente in disuso da risultare thauma, meraviglia o attonito stupore… I filosofi sono così, la filosofia è questo. Nulla di necessario, di indispensabile, di «risolutivo della crisi economica». Ma, come è la musica, qualcosa che dona senso, dà spessore all’inutile affannarsi del nostro divertissement, del nostro distrarci da quanto dà consistenza e valore all’esistere. E domanda: cosa ci preme? Cosa è degno di valore? Cos’è il bene, e il male…?

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