Gli osservatori non sanno decidersi a adottare una posizione sola. Alcuni – e sono la maggioranza – vedono il futuro di Berlusconi in forma di apoteosi. Altri osano immaginare la caduta del Cavaliere raffigurata piuttosto come una discreta uscita di scena che come una plateale espulsione.
Ecco l’apoteosi:
Per l’Italia, forse, il vero incubo deve ancora cominciare. Se il governo Letta cadrà, infatti, Berlusconi avrà ottime possibilità di vincere le prossime elezioni e di farsi eleggere presidente al posto di Giorgio Napolitano. In questo modo la berlusconizzazione del paese giungerebbe a pieno compimento, così come il declino della sinistra italiana. (Michael Braun, Incubo romano, Die Tageszeitung/Internazionale)
L’uscita di scena è invece prospettata da un giornalista belga:
Berlusconi non è più una pedina fondamentale della politica italiana. Se sarà condannato, anche in uno solo dei quattro processi nei quali è imputato, la sua influenza finirà. Un epilogo che farebbe molto piacere alla sinistra e che non dovrebbe danneggiare una generazione politica giunta all’età dell’emancipazione. (Gilles Millecan, La Libre Belgique/Internazionale)
Una discrepanza simile esiste tra le due immagini più caratteristiche della sorte che è toccata al Pd negli ultimi due mesi. Bersani si è comportato a lungo come qualcuno che vuole la luna e non esclude di poterla ottenere. Poi, con un repentino mutamento di scenario, egli stesso si è arreso alle ragioni del nemico e, nella manovra, è stato abbandonato da una parte considerevole delle sue stesse truppe. Dalla vertigine del desiderio alla caduta nell’irrilevanza. E questo è stato soprattutto vero per gli eredi del comunismo, usciti vincitori dalle primarie del centrosinistra con lo stesso Bersani e ridotti alla misura di due soli esponenti tra i ministri del governo Letta.
Il Pd ridotto al ruolo di attore secondario e Berlusconi prossimo alla celebrazione del suo trionfo finale portano a pensare che nella politica italiana non sia cambiato nulla. Il personaggio centrale resta alla fine lo stesso e l’opposizione storica si limita a fare da contorno. Questo però significa fare i conti senza l’oste che in questo momento non è Silvio Berlusconi, ma Giorgio Napolitano. La crisi italiana ha trovato nel presidente della Repubblica un suo provvisorio punto di equilibrio. A partire da un dato simile, immaginare il futuro diventa un po’ meno semplice.
Il destino personale di Berlusconi è in realtà una variabile tra le altre di uno scenario più complesso. Contano anche le logiche degli altri attori. Se il Pd non esce dalla sindrome dell’erede negligente, preoccupato più di raccogliere la successione che di rilanciare l’azienda, una ricomposizione del sistema politico intorno a un pilastro centrista rappresenta per ora l’esito più probabile della crisi. Quello che è apparso come un ritorno della Dc al potere significa questo. Curiosamente Berlusconi sta recuperando terreno sulla scia di Napolitano. E il Pd che pure con Napolitano avrebbe qualcosa a che vedere rischia di non trarre nessun vantaggio dalla situazione. La sfida per i negligenti eredi della tradizione comunista italiana è ardua come non mai, riguarda né più né meno che il mutamento della ragione sociale: passare dalla preoccupazione per il destino di un gruppo dirigente alla identificazione con le esigenze di categorie trascurate per decenni. Da una forma stanca di narcisismo all’assunzione piena di un ruolo storico.
Siccome non è detto che questo avvenga, c’è un ampio spazio disponibile per la riconversione centrista della destra e per le incursioni populistiche di Grillo. Negli ultimi decenni, dalla morte di Berlinguer in poi, a fornire un motivo conduttore alle scelte compiute dal gruppo dirigente comunista variamente ribattezzato è stata la salvaguardia della posizione conseguita per la nomenclatura interna. La manovra spericolata eseguita con il passaggio alla candidatura di Marini nell’elezione del presidente aderiva dalla medesima logica: opportunismo senza un vero disegno. Napolitano invece aveva un disegno che si è imposto. Ne è seguito un armistizio. Linea sposata nella sostanza da Berlusconi. E che porta presumibilmente verso l’uscita discreta più che verso il trionfo diretto del Cavaliere. E verso una aggregazione centrista fiorente anche sulle macerie dell’impero comunista.