Giovanni Belardelli
La diffidenza per il leader
Corriere della Sera, 18 maggio 2013
… il Pd è l’unico, tra i principali partiti italiani, a non fondarsi su un leader, a non fare della leadership l’elemento strutturante e il punto di forza della propria azione politica. La «democrazia del pubblico» appare anzi alla maggioranza dei suoi esponenti qualcosa di destra, di inevitabilmente berlusconiano, e perciò da respingere. In realtà di per sé essa non è né di destra né di sinistra, tanto che sullo stesso terreno si sono dovuti muovere, benché con risultati anche molto diversi, un po’ tutti i partiti della scena politica italiana: da Grillo a Monti.
Lapo Pistelli
Il complesso del tiranno è in via di superamento
Il Foglio, 18 maggio 2013
“C’è poco da girarci intorno – dice Lapo Pistelli, deputato del Pd e viceministro degli Esteri – il modello Bersani era un modello che faceva perno sulle risorse interne, sia nella ricerca dei voti sia nella ricerca di volti utili a rappresentare il Pd, e che vedeva nella perfetta organizzazione del partito un grande e formidabile strumento di competenza e di consenso. Oggi nel nostro partito è invece in atto un fenomeno opposto che sta spingendo il Pd su un percorso alternativo a quel modello”. In che senso? “Nel senso – continua Pistelli, che alle primarie ha sostenuto Bersani ma che è anche amico fraterno di Letta e maestro politico di Renzi – che quello che abbiamo imboccato è un percorso che ci porterà a far nostro un concetto che finora è stato considerato, diciamo così, ‘di destra’: la necessità di avere un leader che sia più forte dello stesso partito e che magari abbia anche un carattere extraterritoriale rispetto ai confini del Pd. Essere ‘figli dell’apparato’, insomma, non è più un’esigenza prioritaria e anzi il profilo di una persona che abbia un suo marcato appeal fuori dal nostro recinto mi sembra sia diventata una prerogativa importante. Ecco, la dico grossa: è vero che il Pd è pieno di problemi e vive una fase complicata ma in tutto questo bisogna registrare che i nostri militanti e i nostri dirigenti mi sembra si stiano convincendo di una cosa semplice: che sul tema della leadership non si può fare a meno di avere nel proprio corpo una piccola trasfusione di sangue. E dunque mettetela come volete, ma mentre voi vi occupate di polemiche precongressuali sappiate che nel Pd sta succedendo una cosa storica: per la prima volta la sinistra sta facendo i conti con il complesso del tiranno, e sinceramente non mi pare poco”.
Claudio Cerasa
La rivoluzione culturale in corso all’interno del Pd
Il Foglio, 18 maggio 2013
… oltre alle notizie e oltre alle polemicucce congressuali, bisogna dire che all’interno del nuovo Pd è in corso una rivoluzione culturale che riguarda un tema che finora è stato uno dei grandi tabù della vita recente della sinistra italiana: il tabù del carisma. L’improvvisa uscita di scena di Bersani e la trasformazione di Renzi nel possibile futuro salvatore della patria ha costretto infatti il Pd a fare i conti con l’accettazione di un principio, legato alla figura della leadership, che durante la campagna elettorale era stato sempre negato e a volte anche ripudiato dalla vecchia classe dirigente. Bersani, ricorderete, sul solco di una vecchia tradizione socialdemocratica, è stato il teorico della necessità assoluta, per un partito di sinistra attento ai temi della “ditta” e della “collegialità”, di avere un modello di leadership tiepido, misurato, moderato e profondamente alternativo rispetto al modello muscoloso, passionale ed enfatico fatto proprio da quei leader (come Renzi) che vedono invece nella figura di un capo forte un valore aggiunto irrinunciabile per un partito che ha l’ambizione di governare il paese. Con il sostanziale passaggio di testimone da Bersani a Renzi, nel Pd, anche per digerire il trauma del passaggio, è andata però in scena una inconfessabile seduta di autocoscienza collettiva sul tema della leadership. E il risultato è che oggi all’interno del Partito democratico il paradigma si è completamente capovolto; e tranne rarissimi casi adesso è quasi impossibile trovare qualcuno che non riconosca un principio elementare: che oggi per vincere le elezioni la forza del leader è più importante della forza della ditta; che il carisma del capo non può più essere inteso solo come un riflesso del carisma del partito; e che in fondo il solo e unico modo per provare a vincere le elezioni e governare con le proprie forze è quello di sperimentare quella leadership muscolare, enfatica e passionale che fino a qualche tempo fa veniva considerata dalla stragrande maggioranza del Pd una semplice e banale declinazione del populismo berlusconiano.