Dici cinema turco in Italia e il primo nome che viene in mente è sicuramente quello di Ferzan Ozpetek, ormai adottato dal nostro paese (nato Istanbul nel 1959, vive a Roma dal 1976) ma regista turco a tutti gli effetti e massimo testimonial del cinema del suo paese in Italia, promotore da anni del Film Festival Turco di Roma (iniziato nel settembre 2011).
I film turchi nei festival internazionali stanno avendo importanti riconoscimenti: è dal 1° maggio nelle nostre sale “Muffa” di Ali Aydin, vincitore del Leone del Futuro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, ma sono arrivati premi di rilievo anche nelle ultime edizioni di Cannes (in questo senso è il cinema di Nuri Bilge Ceylan a fare la parte del “leone”: sulla Croisette ha vinto nel 2003 il Gran Premio Speciale della Giuria con “Uzak”, nel 2008 il premio per la migliore regia con “Le tre scimmie”, nel 2011 un altro Gran Premio Speciale con “C’era una volta in Anatolia”) e di Berlino (qui Fatih Akin è il “padrone”: premiato anche a Locarno, Venezia e Cannes, il regista ha ottenuto l’Orso d’Oro nel 2004 con “La sposa turca”).
Ulteriore tassello alla conoscenza del cinema turco in Italia (e della realtà sociale di quel paese) è stata la sezione Destinazione… Turchia del Trento Film Festival, chiusosi ieri, 5 maggio 2013.
Dopo Finlandia e Russia, quest’anno il festival ha portato alla scoperta dei territori più interni, meno conosciuti, segnati dai paesaggi montuosi del Caucaso. “Paese da sempre al crocevia tra Europa e Asia, Occidente e Medio Oriente, la Turchia è una realtà sempre più visibile e vibrante, terreno fervido e complesso di contaminazioni tra tradizioni (e in questo molto simile al Trentino) e religioni, per questo particolarmente emblematico nello scenario culturale globale, oltre che realtà emergente a livello economico e geopolitico”, spiegano gli organizzatori.
Un film turco – “Sonbahar (Autumn)” di Ozcan Alper – vinse nel 2009 il massimo riconoscimento assegnato a Trento, la Genziana d’Oro. Tra i titoli selezionati per il 2013 documentari di grande valore come l’interessantissimo “Ich Liebe Dich” di Emine Emel Balc, che racconta la massiccia emigrazione in Germania dal punto di vista delle donne rimaste in Turchia (e alle prese con un corso di lingua tedesca); o anche “Waiting” di Bülent Öztürk, che documenta i postumi del terremoto che nel 2011 ha sconvolto la Turchia orientale; e “Playing house” di Bingol Elmas, che denuncia le tradizioni repressive che molte donne devono ancora subire in alcune aree del Paese. Curioso e da segnalare anche il ritorno al documentario del già citato Fatih Akin con “Polluting Paradise”: nel 2006 Akin girò il finale del suo film “Ai confini del paradiso” a Camburnu, villaggio natale dei nonni, nella Turchia nord-orientale, dove gli abitanti vivono da generazioni a stretto contatto con la natura. Una catastrofe ecologica minacciava però il villaggio: una discarica costruita nel totale disinteresse nei confronti dell’ambiente, contro la quale si schierano il sindaco e gli abitanti. Per più di 5 anni Akin ha filmato la lotta del villaggio contro le istituzioni e testimonia come l’ineluttabile catastrofe si abbatte sul paradiso, ormai perduto. Una “commovente testimonianza di coraggio civile”, un documentario che meriterebbe maggiore visibilità.
A Trento anche due film di fiction, “Watchtower” della regista Pelin Esmer, anche membro della giuria internazionale, e “Beyond the hill” di Emin Alper, passato a Berlino. Ad aprire la sezione, e il festival, la prima sera un evento speciale, l’accompagnamento musicale dal vivo della band turca BaBa ZuLa sulle immagini di “Enis Aldjelis, die Blume des Ostens” di Ernst Marischka, produzione austriaca del 1920 e primo lungometraggio filmato nella metropoli turca, restaurato da EYE Film Institute Netherlands e Filmarchiv Austria, girato da austriaci (anche) perché in quel periodo non esisteva un sistema cinema locale. Ma nei decenni successivi i turchi hanno saputo recuperare il tempo perso…