Malgrado tutto sono ancora vivo. I colpi sono arrivati, alti e bassi, di artiglieria pesante e leggera, rasi o a grappolo, ma sono ancora vivo e al mio ultimo giorno di Salone. La mia intenzione di fare il punto sulla guerra infame è un po’ naufragata in incomprensioni e giornate frenetiche, pioggia battente e sole pallido e freddo come l’anima del commercio, col risultato che quello che avrei voluto pubblicare quasi dal vivo uscirà in leggera differita nei prossimi giorni. Poco male, il tempo per riordinare le idee non è mai malvoluto.
Una delle cose che mi ero prefissato, però, riesco a coronarla: collezionare le uscite che mi hanno più colpito. Qualche post fa parlavo di come la mia attrazione per le copertine si sia lentamente trasformata in un’attrazione per i titoli. Al Salone questa tendenza è invertita. Le copertine brillano a destra e a sinistra, scintillano come grani di quarzo nell’antracite e mi spingono ad avvicinarmi agli stand e spulciare i risvolti di quarta. È vero, è un approccio particolarmente superficiale, e prima di segnalare un titolo cerco di capirne di più, ma è l’approccio del lettore e mi piace cercare di rispettarlo.
minimum fax è ovviamente e da sempre uno dei miei editori preferiti, vista l’inclinazione perversa per lo scrivere americano che condividiamo allegramente. Quest’anno mi regalano in anteprima una gran boccata d’ossigeno con È il tuo giorno Billy Lynn! di Ben Fountain. Un libro tanto atteso quanto complesso, tanto invitante – ha un paio di stendardi a stelle e strisce in copertina – quanto ammiccante. Come da tradizione faxiana, Fountain è un raccontista, qui alle prese con il suo primo romanzo, tra guerra e football. Lo voglio, lo pretendo e lo avrò. L’uscita è prevista tra quindici giorni.
La seconda delle ammiraglie minimum è Dana Spiotta, Versioni di me. All’apparenza più composta rispetto a Fountain, più intimo e legato al rock come tradizione vuole.
Il piccolo editore di Firenze, Clichy ha avuto un’idea che per un fanatico del mio calibro è pura genialità. Ripropone, per ora con quattro titoli, una soluzione anticrisi adottata nella Germania dell’immediato dopoguerra: la ristampa leggera di alcuni classici letterari. Il formato è esattamente fedele all’originale, tabloid bianco e nero che si concede solo una foto dell’autore tra il testo fitto. La collana si chiama Ro Ro Ro, e il costo è di un euro a volume. Ho sotto il naso Cuore di tenebra, di Joseph Conrad e – meraviglia – La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth, ma ci sono anche Stevenson e Dostoievskij. Altri ne arriveranno.
Ieri, mentre madido di sudore facevo lo slalom tra gli avventori lentissimi e distratti con l’abitudine di bloccarsi senza preavviso davanti agli stand, ho avuto l’occasione di incontrare la carinissima Deborah Willis, al salone per presentare la sua raccolta, pubblicata da Del Vecchio, Svanire. Ho letto qualcuno dei racconti mentre aspettavo che la pioggia passasse – avrei avuto il tempo per leggere l’opera omnia di Bolano – ho mi sono imbattuto in una scrittura asciutta ma emotivamente grondante. Una bomba innescata in attesa di esplodere.
Adoro Hacca, l’ho già detto, e ancora non sono riuscito a spulciare tutto il loro catalogo. Li adoro perché mettono una cura certosina in ogni libro che fanno e perché a loro volta adorano i loro lettori. Quest’anno ho modo di farmi raccontare Confessioni a Tanacu, di Tatiana Niculescu Bran, e mi pare una cosa fuori di testa. Una faccenda di suore ed esorcismi, a metà tra il romanzo e l’inchiesta, nella Romania degli anni sessanta.
Nel vasto e cardiopalmico panorama editoriale che popola in Salone, le riviste sono un po’ come il fratello minore che tutti stimano ma nessuno difende. In difesa di tutte le riviste – strenua, disperata e chiassosa. Perché spesso pubblicano perle in anteprima, autori meravigliosi e approfondimenti puntualissimi – voglio citare il numero 3,14 di WATT, che per l’occasione si veste di cartone nel formato di un vecchio LP. Tutto il numero rimanda alla Grecia, alla crisi e alla matematica – le due T in copertina formano un P greco, da qui la numerazione – con i contributi di numerosi autori, emergenti e non, e illustratori, da sempre il fiore all’occhiello della rivista.
Sfogliare il catalogo Mattioli 1885 vuol dire vedere scorrere i nomi di Thoreau, Dubus, Twain, Wiernik (mi sento di gridarlo!), e sorattutto di Jack London, del quale capeggia in scaffale un’invitante biografia firmata Daniel Dyer – Jack London. Vita, opere e avventura. Sfogliare il catalogo Mattioli vuol dire immergersi nell’America selvaggia, nelle fondamenta di questa letteratura, nel pantano da cui è nata la mia passione.