Dialoghi semiseriEsiste una questione razziale in Brasile?

Il 13 maggio 1888, 125 anni fa, il Brasile aboliva la schiavitù, ultimo tra i grandi paesi “occidentali”, ancorché dell’occidente coloniale. La Lei Aurea fu firmata nell'allora capitale Rio de Jane...

Il 13 maggio 1888, 125 anni fa, il Brasile aboliva la schiavitù, ultimo tra i grandi paesi “occidentali”, ancorché dell’occidente coloniale.

La Lei Aurea fu firmata nell’allora capitale Rio de Janeiro dalla Princesa Isabel, reggente dell’Impero, durante un viaggio all’estero dell’Imperatore Dom Pedro, che in quei giorni si trovava a Milano e alloggiava al Grand Hotel Et de Milan, ancora oggi funzionante in via Manzoni, dove una statua ricorda quell’avvenimento.

Oggi, la ricorrenza dei 125 anni da quello storico evento costituisce l’occasione giusta per porsi la domanda del titolo. È un interrogativo che resta una domanda retorica, la risposta – quasi scontata – essendo “purtroppo sì”.

È una questione che si pone con modalità sue proprie, dovute alle tante peculiarità della storia brasiliana, che costituisce sotto tanti profili un unicum nel continente americano.

Destinazione finale per quasi la metà dei neri deportati dall’Africa, dieci volte di più rispetto agli Stati Uniti, il Brasile ha avuto nel tempo posizioni altalenanti verso questa parte della popolazione, ma in generale la strategia per diminuirne e diluirne il peso proporzionale, che in alcune regioni arrivava nei secoli passati a essere preponderante rispetto alla presenza bianca, è stata quella della miscigenação, della assimilazione. Una strategia speculare rispetto alla rigida segregazione che ha prevalso altrove, non solo negli Stati Uniti, già ricordati, ma nel Sudafrica dell’apartheid, attraverso la quale l’élite bianca ha cercato di ovviare a una presenza che aveva assunto un’influenza notevole sui più disparati aspetti della vita sociale del paese.

Ciò spiega da un lato il fatto che una percentuale straordinariamente elevata di brasiliani, ben oltre il 40 per cento, si definisca di etnia nera o mulatta, e come queste stesse definizioni debbano essere considerate con estrema cautela, visto che ricerche genetiche hanno trovato tracce di cromosomi africani in proporzioni ancora maggiori della popolazione.
In Brasile, infatti, la correlazione tra colore della pelle e origine genomica è imperfetta e variabile, nella maggior parte dei casi non è possibile desumere dal colore della pelle il grado di incidenza dell’una o dell’altra discendenza, né il contrario. Così, conclude un recente studio in materia, l’unico modo scientificamente fondato di considerare la popolazione brasiliana non è dividerla in categorie secondo il colore della pelle, ma considerare ciascuna persona su base individuale, come una popolazione di 190 milioni di soggetti ciascuno caratterizzato da un suo genoma e storia di vita.

Se queste sono le cifre, non sorprende che la questione razziale sia un tema controverso, che non assume dimensioni univoche né dal punto di vista legislativo né da quello della percezione sociale.
Capita così che comportamenti di grande tolleranza e apertura mentale, che sono la norma, lascino spazio, a intervalli più o meno regolari, a episodi di aperto razzismo che periodicamente riaccendono il dibattito pubblico sul tema.

Talvolta si tratta di episodi che scuotono il paese per la loro efferata brutalità, come quanto accaduto nell’agosto 2009 a Januário Alves de Santana, un nero trentanovenne scambiato per un ladro al momento di entrare nella sua auto, parcheggiata nel garage di uno shopping center di San Paolo, e brutalmente pestato dai vigilantes, lasciati andare senza conseguenze anche dalla polizia presto sopraggiunta, che rivolse – dimostrando lo stesso preconcetto dei colpevoli dell’aggressione – le sue attenzioni verso il «sospetto», solo in seguito trasportato in ospedale per essere curato dalle fratture multiple riportate nell’aggressione.

Altre volte si tratta di episodi di minore intensità, che tuttavia riportano l’attenzione sul tema in seguito alle denunce di personalità in vista. È il caso, per esempio, sollevato a fine 2012 dal rapper paulista Emicida, indignato dalla rappresentazione farsesca di una donna di colore di umili condizioni, in Zorra Total, un programma di grande successo di Rede Globo, caratterizzato da una comicità grossolana. La sua dura presa di posizione, ripresa con grande enfasi da importanti giornali, riassume bene i principali temi della questione razziale nel Brasile odierno. Il programma – lamentava Emicida – rafforza uno stereotipo, quello della donna nera, abitante nelle periferie, rafforzandone i connotati negativi, già pesanti oggettivamente, giacché persone così guadagnano meno, vedono i loro connotati fisici discriminati da un ideale eurocentrico di bellezza, sono emarginate, rappresentano una percentuale spaventosa di madri adolescenti o single, e difficilmente trovano un lavoro decente, e se lo trovano, quando finalmente rincasano esauste il sabato sera, si vedono oggetto di un programma estremamente razzista, umiliate dalla maggiore rete televisiva del paese.

Viviamo – proseguiva il rapper – un momento estremamente delicato nella vita del Brasile, ma un attacco contro il gruppo etnico che più si è sacrificato per questo paese passa inosservato, come uno scherzo. La reazione di Emicida ha avuto tanta risonanza che ONG come l’Instituto de Advocacia Racial e Ambiental e singoli cittadini hanno presentato formali denunce alla Ouvidoria Nacional da Igualdade Racial, istituita presso la Presidenza della Repubblica per combattere la discriminazione

Mentre la questione razziale continua a tenere banco, le fredde statistiche continuano a indicare differenziali salariali molto elevati legati al colore della pelle. Parafrasando Nelson Mandela, che ha intitolato Long walk to freedom la sua autobiografia, in Brasile è ancora lunga la strada verso l’integrazione.

Diego Corrado è autore di BRASILE SENZA MASCHERE. POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA FUORI DAI LUOGHI COMUNI, pubblicato lo scorso aprile da Università Bocconi Editore (qui indice e prefazione, qui la pagina Facebook del libro).

(nella foto, Edson Arantes do Nascimento, universalmente noto come Pelé, nato il 21 ottobre 1940 a Três Corações, nello stato di Minas Gerais, è unanimemente considerato il più grande calciatore della storia; tre volte campione del mondo con la nazionale brasiliana, nel 1958, 1962 e 1970, ha segnato 1281 gol in competizioni ufficiali, il più prolifico attaccante di sempre; realizzò il millesimo gol, O Milésimo, come è ricordato dagli sportivi brasiliani, il 19 novembre 1969 contro il Vasco da Gama al Maracanã)

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