In principio è cinemaEssere gay in Medio Oriente, la “mezzaluna rosa”

Si è chiuso da pochi giorni a Torino il festival Da Sodoma a Hollywood, da 28 anni dedicato al cinema GLBT (gay, lesbo, bisessuale e transgender). Tra le oltre cento proiezioni del programma di que...

Si è chiuso da pochi giorni a Torino il festival Da Sodoma a Hollywood, da 28 anni dedicato al cinema GLBT (gay, lesbo, bisessuale e transgender). Tra le oltre cento proiezioni del programma di quest’anno, un Focus particolare è stato pensato per la Mezzaluna Rosa, ovvero a come viene vissuto in Medio Oriente l’essere omosessuali.

Si tratta di paesi in cui la situazione per i gay è più complicata che altrove, e i film e documentari selezionati dal direttore Giovanni Minerba e dal suo staff sono stati efficaci e molto diretti nell’esplicitare al pubblico torinese quella realtà.

“Giordania, Turchia, Cipro e Iraq sono gli unici paesi del Medio Oriente nei quali gli atti omosessuali (in privato) non sono considerati illegali”, spiega Fabio Bo, responsabile della sezione. “In tutti gli altri stati di quell’area geografica l’omosessualità resta un crimine, punito con pene molto severe, dalle punizioni corporali all’incarcerazione, perfino alla morte (Arabia Saudita). (…) Può addirittura capitare che la polizia araba cerchi di reclutare i giovani gay (ad esempio quelli che studiano nelle università israeliane) come spie ricattandoli, minacciando di spifferare la loro sessualità alle famiglie, quasi sempre ignare, omertose, crudeli. O, al contrario, che i colleghi delle forze dell’ordine di parte avversa sospettino a tal punto di loro da rispedirli indietro, in Palestina, con conseguenze non di rado drammatiche, violente. L’unica alternativa, per questi profughi senza terra, è emigrare all’estero, in Europa, in Canada, in Australia. Il Focus Mezzaluna Rosa prova a mettere a fuoco tali contraddizioni non solo per denunciarne i meccanismi perversi ma anche per testimoniare i timidi ma coraggiosi tentativi di uscire allo scoperto, di farsi avanti, di lottare della comunità GLBT (…), ripercussioni non di poco conto delle energie e delle istanze che, sebbene in maniera incerta e rudimentale, emergono dalle primavere arabe”.

Alcuni dei registi del Focus erano a Torino e hanno partecipato a un incontro pubblico sul tema. Nella giuria del concorso documentari era Basil Khalil, nato a Nazareth, in Israele, da padre palestinese e madre britannica. Dopo aver diretto e prodotto alcuni documentari, tra cui Replay Revenge (2005), incentrato sulla situazione medio-orientale, si è traferito a Londra: oggi vive a Torino, dove sta sviluppando il suo primo lungometraggio con il supporto del Doha Film Institute e di MEDIA. “Chi si occupa di tematiche Glbt è un élite, spesso la questione è vista come una malattia dell’Occidente”, ha detto Khalil. “Spesso sono gli estremisti a dare più speranza alla popolazione con il pensiero dell’aldilà. Le persone si stanno radicalizzando. La maggior parte dei film è creata per un pubblico occidentale. Per aggirare la censura bisogna lavorare di creatività. Più rosa o più scura? La Mezzaluna sta diventando entrambe le cose”.

Guy Lee Thys è invece il regista di “Mixed Kebab”, uno dei film della sezione. Costato 1,3 milioni di euro, nella pellicola sono parlate 7 lingue diverse e la troupe conta oltre 30 nazionalità differenti. E’ la storia di Ibrahim, musulmano nato in Belgio da genitori tradizionalisti di origini turche, a cui nasconde la propria omosessualità. Quando viene mandato in Turchia per chiudere gli accordi pre-matrimoniali con la cugina Elif, promessagli in sposa, decide di partire alla volta del Bosforo con Kevin, un diciannovenne belga per cui prova una forte attrazione: una volta in viaggio tra i due scoppia la vera e propria passione.

“In Mixed Kebab il protagonista fa una scelta di libertà, contro l’ipocrisia, decide di vivere con il suo fidanzato”, ha detto. “Il film nasce da un’indagine condotta ad Anversa. Il 91% dei musulmani considerava l’omosessualità come qualcosa da combattere. Alla prima del mio film ho avuto la scorta della Polizia ma non è successo nulla. Ho ricevuto diversi apprezzamenti”.

Ospite del festival anche Nicholas Jacob, attore italo-palestinese all’esordio cinematografico assoluto in “Alata”, premiato dal pubblico come migliore lungometraggio. Ho avuto occasione di intervistarlo: “La mia famiglia e il mio ambiente sono estremamente liberi, nessuno mi ha mai fatto alcun problema per aver recitato la parte di un gay (né io né il mio partner sullo schermo, Michael Aloni, siamo infatti omosessuali). La critica ha accolto positivamente il film, e in tutte le proiezioni cui ho assistito lo ha fatto anche il pubblico: il premio di Torino non fa che confermare queste sensazioni. A fine proiezione qui a Torino sono stato avvicinato da un ragazzo israeliano che mi ha chiesto se non mi vergognavo di rappresentare così Israele, ma anche alcuni arabi in passato si sono lamentati della presenza di un fratello terrorista tra i personaggi. “Alata” è obiettivo, coglie il male in entrambe le fazioni: per questo mi è piaciuto subito, è neutrale”.

Tra gli altri film del Focus da segnalare l’interessante “Facing mirrors” dell’iraniana Negar Azarbayjani, che pur parlando di una donna transessuale è stato il primo titolo del genere a riuscire ad avere una normale distribuzione in sala in Iran (paese in cui peraltro vige grande libertà per i trans: una vecchia legge voluta da Khomeini – e come tale impossibile da abrogare – consente il passaggio di sesso e predispone anche fino al 25% di rimborso statale delle spese!).

Il documentario “I am Gay and Muslim” di Chris Belloni è un’interessante escursione nella vita di sei omosessuali in Marocco, tra necessità di nascondersi e violenze subite, il tutto da “abbinare” alla propria coscienza musulmana.

Infine, uno dei film più attesi dell’intero festival, il libanese “Out Loud” di Samer Daboul, prima pellicola militante in arrivo da quell’area. Molti i problemi avuti dalla produzione durante le riprese, molti gli ostacoli anche a film finito ma il risultato è la prima forte pellicola di genere dal Libano, in attesa – si spera – che non sia più una singola eccezione.