Mercato e LibertàEstremismo e moralismo

Io non sono un moderato: non ritengo lo status quo sostenibile, credo che molti dei problemi odierni siano di origine politica e non penso si possano risolvere con i normali meccanismi politici, se...

Io non sono un moderato: non ritengo lo status quo sostenibile, credo che molti dei problemi odierni siano di origine politica e non penso si possano risolvere con i normali meccanismi politici, senza cioè profonde riforme istituzionali.

Eppure il contrario di ‘moderato’ è ‘estremista’, e sebbene in un paese vecchio e reazionario come il nostro l’estremismo è l’ultimo dei problemi (anche se le BR sono cosa di ieri), ci sono aspetti della mentalità estremista che mi danno fastidio, come la tendenza al moralismo.

Leggevo un report sulle strategie contro il tabagismo e si parlava del ‘quit or die’ (o smetti o niente): sembrava l’ennesimo esempio di presa di posizione ideologica utile soprattutto a chi la brandisce. L’estremismo fa stare bene, anche quando non serve a niente, perché l’essere ‘puri’, almeno in un universo immaginario, consente di crearsi un’immagine immacolata di sé («ho la coscienza pulita: non l’ho mai usata»), e di sentirsi moralmente superiori senza far nulla per meritarlo. Io, tendendo al mal di gola, cerco invece di evitare il “moral high ground.”

Il “tutto e subito” è una strategia, e ci sono casi in cui è efficace e altri no. Il problema è quando diventa una preferenza morale assoluta: non solo perché nella scelta dei mezzi bisognerebbe avere un po’ di flessibilità tattica, ma perché si arriva a confondere il mezzo (l’esprimere opinioni estreme) con il fine (risolvere problemi reali).

Chi vuole risolvere un problema reale inizia cercando di capirlo: chi vuole esprimere un’opinione politica, invece, non spreca tempo ad informarsi, ma erutta slogan per ‘sentirsi figo’. Il moralismo luogocomunista delle femministe che non vedono differenza tra farsi la ceretta per piacere e essere lapidate per adulterio è un esempio particolarmente ridicolo.

Un esempio di moralismo liberale si è visto un paio di settimane fa con attacchi anche personali a Carlo Stagnaro perché aveva detto una cosa ovvia: che alcune tasse sono peggiori di altre, e andrebbero tagliate per prime. Ovviamente se ci si trovasse a decidere come ridurre il carico fiscale, la prima domanda da porsi sarebbe «quanto tagliare?», e la seconda «da dove iniziare?». Trovo buffo dichiarare interesse per la questione astratta ma fregarsene di quella concreta.

Certamente è più comodo ragionare come se la spesa pubblica fosse zero, cioè come se non ci fossero decisioni da prendere perché le tasse non servirebbero. Ponderare decisioni eteree in universi fittizi consente di non sporcarsi le mani con il mondo reale, ma l’unica morale sensata è quella che si occupa di problemi concreti: l’etica non serve a stare a posto con la coscienza, ma a metterla alla prova.

Il moralismo liberale ha raggiunto la perfezione nel libertarismo rothbardiano, un sistema di pensiero molto chiuso dove tutto diventa un problema morale: non serve studiare i dettagli dei problemi perché ci si accontenta di soluzioni universali generiche, non serve studiare i dettagli delle soluzioni perché ogni allontanamento dall’ortodossia è ‘immorale’ (strano che Rothbard non parlasse di “libertarismo scientifico” da contrapporre a quelo “utopistico”, perché il trucchetto è analogo a quello di Marx sul comunismo).

La razionalità costa: è difficile essere razionali nella propria vita, nonostante si paghino di persona le conseguenze, figuriamoci in politica, dove i costi sono pagati da altri. L’elettore non informato ha la stessa probabilità di essere rilevante (zero) di quello informato, ma ha più tempo libero. Il singolo elettore non conta nulla e nulla cambierebbe senza il suo contributo: tanto vale sfogarsi emotivamente: gli elettori di Bersani che sentono di essere “l’Italia giusta” sono ridicoli quanto quelli di Berlusconi che ci difendono dal comunismo.

Quanta irrazionalità possiamo ancora permetterci? La realtà fa schifo, e peggiorerà ulteriormente: ma è l’unica realtà che abbiamo, e bisogna farci i conti: i fatti sono più testardi di ciò che ci raccontiamo davanti allo specchio.

Pietro Monsurrò

@pietrom79

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