Salgo le scale rapido. Le scale della metropolitana hanno una pendenza molto elevata. In un attimo, appena superati i primi dieci gradini, ti trasportano da sotto terra, dall’ermetico vagone della metropolitana, al timido e piacevole sole milanese di questi giorni. La cosa migliore dopo un po’ di metrò è sempre una Winston blu. L’accendo con un po’ di fatica: ho il fiatone. La prima boccata è sempre la migliore, la seconda, questa volta, è stata tremenda. Un po’ di fumo è finito sugli occhi e le lacrime hanno iniziato ad affogare l’occhio: ci vuole una bella strofinata. Riapro gli occhi, avvicino la sigaretta alla bocca e la prima cosa che vedo uscito dalle viscere del metrò è questa immagine:
Subito penso: «Questa è una super offerta con diversi vantaggi. Prima di tutto ho uno sconto netto di duecentocinquanta euro (niente male). Poi si tratta di una pubblicità eco-friendly. Non è stata sprecata carta e poi sicuramente la Sony si occuperà della rottamazione del mio vecchio computer. L’offerta è tanto invitante quanto questa semplice pubblicità». Una pubblicità di impatto, la prima immagine che si incontra uscendo dalle faticose scale della fermata di Porta Romana a Milano. Questo graffito pubblicitario ha sia catturano i miei pensieri sia consumato parecchia sigaretta e ormai manca solo qualche tiro. Mi dirigo verso il cestino ancora pensando ai vantaggi di questa offerta e all’efficacia della pubblicità che necessariamente si incontra. Spengo, butto e vado verso la fermata dall’altra parte della strada: il tram 16, a scatti, sta arrivando. Percorro pochi passi e un altro disegno sul marciapiede cattura la mia attenzione. Mi sento costretto a fermarmi, l’immagine mi attira e quindi metto gli occhiali:
In un attimo realizzo tre cose: primo ho gli occhiali sporchi, secondo, questa pubblicità mi sembra un po’ invadente e terzo che questo non è il momento (economico) per poter acquistare un nuovo computer. L’impatto di questo tipo di pubblcità mi sembra strano: un’ottima operazione di marketing che non avevo mai visto. La definisco però come un inquinamento visivo e penso che «il marketing invade l’organizzazione urbana come le radici di un banano oppure come le radici delle mangrovie che si stringono saldamente in ogni spazio della foresta».
Gli esempi sono vari: mi vengono subito in mente due città che hanno creato luoghi ad hoc per la pubblicità. Il primo è Times Square a New York: a parte un cartellone in continuo aggiornamento che ricorda i costi e le vittime nella guerra in Afghanistan, tutto il resto è pubblicità ovunque: brand ovunque. Luci e colori che ti ipnotizzano: proprio ciò che deve fare la pubblicità. Il secondo esempio è Piccadilly Circus a Londra. Capita spesso di vedere delle coppie farsi fotografare sotto i cartelloni pubblicitari disdegnando il povero cupido simbolo dell’amore. Ma anche l’Italia è invasa dalla pubblicità. Da quella della Ray-Ban che troneggia in piazza Duomo a Milano alle varie pubblicità che ricoprono i nostri monumenti nelle fasi di ristrutturazione. Un’idea geniale. I monumenti come il Duomo o il Colosseo sono il centro di attrazione per eccellenza: tutti li visitano e così tutti subiscono passivamente la pubblicità.
Questo tipo di pubblicità dà indicazioni e ti indirizza verso il cammino dell’acquisto. Cerco subito un altro computerino. Lo trovo. Questo dice 70 metri. Proseguo e accendo un’altra sigaretta. Sessanta metri. Da lontano scorgo il computerino successivo. Supero il fioraio che ha dei fiori fuori stagione come i girasoli. Eccolo là, proprio lì vicino al semaforo. È rosso. Mi fermo, reggo la sigaretta con la mano sinistra e con la destra faccio una foto:
Non riesco a scorgere il seguente segno-richiamo. «La pubblicità avrà attratto l’attenzione di molti passati», penso guardando la signorina che aspetta con me il verde. Ormai sono convito che questa pubblicità è anche subdola. Ho percorso quasi 40 di metri e una domanda mi viene in mente: «È nata prima la pubblicità o il consumismo?». La risposta non mi è chiara e mi fermo a riflettere nello spartitraffico di viale Monte Nero. Da una parte ritengo che il consumismo e la pubblicità siano la linfa vitale del capitalismo. Come i mercati e la finanza hanno però anch’essi bisogno di essere regolati e regolamentati. Il consumismo e la pubblicità, diversamente dalla finanza, possono essere utili strumenti per pompare del buon sangue al cuore dell’ economia. Portati all’eccesso però possono trasformarsi in sangue blu ricco di anidride carbonica e quindi dannoso per l’intero sistema. Se si tratta di consumo della risorsa, questa risorsa deve essere creata da una forza lavoro, creando occupazione e alimentando i diversi indotti dell’economia. Un consumismo che porta allo spreco incondizionato e una pubblicità come questa li ritengo invece pericolosi.
Continuo a pensare all’invadenza ostinata e ostentata di questa pubblicità che mi perseguita ma che intanto seguo. «Questo è un chiaro esempio di guerrilla marketing». Questa strategia di marketing consiste nell’incastrare il consumatore, con inaspettati, non convenzionali e interattivi mezzi pubblicitari come: graffiti, sticker bombing, flash mob. Il termine fu ideato da Jay Conrad Levinson nel suo libro Guerilla marketing (1983) dove spiegava che la valutazione del convincimento dell’individuo non viene misurato attraverso le vendite fatte ma attraverso il profitto finale ottenuto.
La signorina che era con me al semaforo passa oltre il negozio: lei non era interessata all’acquisto di un nuovo computer. Sento di essere vicino e finisco di attraversare con attenzione i viali.
Eccomi davanti al negozio. Sono voluto arrivare di fronte alla porta d’ingresso per capire quanto fosse aggressiva e violenta questa pubblicità. I marciapiedi già grigi sono stati resi ancora più scomodi dalla pubblicità. Una pubblicità ripetitiva che quasi ti impone di seguirla. Entro nel negozio e mi fingo figlio di un commerciante interessato a promuovere lo stesso tipo di promozione. Mi viene subito chiarito che il Comune di Milano ha rilasciato il permesso e che la pubblicità ha avuto i suoi effetti. Mi confermano che molte persone chiedono informazioni sull’offerta pur non comprando direttamente. In tempi di crisi i consumi calano e l’agente tende a essere più razionale. Magari non compra, ma sicuramente parlerà dell’offerta e della pubblicità, diffondendo così il prodotto e aumentando il potenziale dei clienti. Esco dal negozio, non mi è chiaro però se il commerciante della Sony abbia dovuto richiedere un permesso o pagarlo. Faccio il percorso a ritroso incontrando nuovamente tutti i computerini, circa una decina. Supero il fioraio sulla destra e la scale buie della metropolitana sulla sinistra.
Cammino veloce e mi domando: «È vero che ci sono pazzi che si fanno tatuare i loghi delle grandi multinazionali (poveri loro) ma la questione qui è un’altra: e se tutti i negozi iniziassero a usare questo tipo di pubblicità? Cemento e pubblicità….be’, non c’è male».
PS:
Forse anche questo post è stata una pubblicità per la Sony