Non può piovere per sempre, diceva quello. Ma le volte che succede, arrivare al lavoro la mattina rasenta l’inverosimile.
Il lavoratore medio fatica a trovare il collegamento tra il proprio e quel gaudente risveglio rappresentato da film e pubblicità vari, quello in cui ci si sveglia in un orario imprecisato che va tra le dieci e le undici di mattina, in una giornata di sole splendido dove la moglie gnoccolona ha preparato una colazione che nemmeno Trimalcione immaginava.
Il suo è generalmente costituito da condizioni climatiche di buio esterno e da una colazione composta di un caffé e di una brioche preconfezionata. Dopo un’osservazione rincoglionita di circa un minuto e venti secondi della suddetta brioche, il pensiero standard è quello di dare dello stronzo al lavoratore della giungla e del minchione a Banderas, augurando alle galline di quest’ultimo di diventare il piatto forte di un pranzo familiare.
La tempistica per arrivare al lavoro è fortemente condizionata da quella malsana invenzione umana che va sotto il nome di traffico cittadino.
Al mattino, il tempo di percorrenza medio di un chilometro varierà tra i nove e i trentaquattro minuti. Tempistica, questa, che potrà essere stravolta dal più grande nemico del lavoratore mattutino, la pioggia, capace di far regredire la maggior parte dei guidatori ai tempi del foglio rosa.
Le prime avvisaglie che sarà un lungo tragitto sono date dal rischio incidente plurimo causato dalla presenza dell’alimentari sotto casa, punto di convergenza naturale delle mamme che portano i bambini a scuola e che devono assolutamente prendere il pane prima di ciò, fermando la macchina senza preavviso in mezzo alla strada ed esterrefatte ad eventuali rimostranze mosse loro contro.
La prima coda arriva dopo circa due minuti e mezzo dalla partenza, ad un semaforo. I semafori sono bestie strane, nel traffico mattutino. Anche se, a ben vedere, tutto si tramuta in una bestia strana, nel traffico mattutino.
I semafori prendono per il culo gli automobilisti, da sempre. A circa quattrocento metri da essi, sono sempre verdi, per un tempo interminabile in cui nessuna delle macchine precedenti si muove. Arriverà però quel momento in cui, con un tempismo inimmaginabile, tutti i guidatori precedenti si produrranno in uno scatto alla partenza degno del via di un Gran Premio di Formula 1, creando quell’abissale vuoto tra il proprio cofano e il semaforo che getterà il lavoratore medio – attardatosi ad aggiornare lo stato del social network su “in coda” – nel panico momentaneo, mentre da dietro si potranno distinguere nettamente armi che si caricano dopo un millesimo di secondo di ritardo nel muoversi. Producendosi nello scatto più clamoroso mai fatto prima, il lavoratore medio verrà però bloccato, sempre ed inesorabilmente, dal semaforo mutato in rosso al suo arrivo dinanzi ad esso.
Esistono poi altre maledizioni del traffico mattutino, forme di vita presenti solamente in quel particolare ecosistema formato da gas di scarico e improperi. Ci sarò il camion della nettezza urbana che, alle sette e mezza di mattina, ingorga la via stretta a senso unico dove ci sono cassonetti sufficienti a risolvere il problema dei rifiuti di Napoli; l’avvenente ragazza che decide di parcheggiare in uno spazio clamorosamente troppo piccolo per la sua macchina, producendosi in quell’andirivieni di prove di entrata che farebbero imprecare anche San Francesco d’Assisi e che creerà una coda di circa quattro chilometri; le biciclette, immuni alle regole della circolazione e convinte che l’impenetrabilità dei corpi non sia regola valevole per i cofani delle automobili; gli anziani appostati sul marciapiede all’altezza delle strisce pedonali, che fanno fermare tutti per poi, stizziti, fare il segno con la mano di proseguire, fino a quando una Smart spazientita non comincerà ad inseguirli sul marciapiede in balia di un raptus omicida.
Una selva di creature mitologiche che il lavoratore medio penserà di non vedere più quando, un bel giorno, deciderà di prendere i mezzi pubblici.
Si rassegnerà al fatto che il traffico vince sempre nel preciso momento in cui, trovandosi nella medesima coda in autobus anziché nella sua auto, un’allegra e chiassosa classe di bambini in gita gli pesterà a ripetizione i piedi e gli conficcherà zaini, cartelline e oggetti appuntiti vari nel costato.
Come diceva quell’altro, il lavoro nobilita l’uomo. Ma è pur vero che spesso lo fa anche incazzare per bene.
“Gli ingorghi piacciono, altrimenti non vi parteciperebbe tanta gente.” (Pino Caruso)