Dialoghi semiseriIl soft power del Brasile conquista il WTO

Il Papa ci andrà a fine luglio, poco dopo che si saranno spenti i riflettori sulla Fifa Confederations Cup, prova generale per la Coppa del Mondo che inizierà tra un anno. Poi a fine 2014 le elezio...

Il Papa ci andrà a fine luglio, poco dopo che si saranno spenti i riflettori sulla Fifa Confederations Cup, prova generale per la Coppa del Mondo che inizierà tra un anno. Poi a fine 2014 le elezioni presidenziali, un breve break e a metà 2016 le Olimpiadi a Rio de Janeiro.

Le ambizioni di potenza del Brasile parevano potersi dire soddisfatte, il soft power nazionale aveva in una manciata di anni messo in secondo piano piaghe che affliggono il paese da decenni come disuguaglianza e violenza urbana. Poi due giorni fa la nomina di Roberto Azevedo al vertice del WTO, l’organizzazione mondiale del commercio, ci ha ricordato che il paese verde oro non sta limitandosi a raccogliere sullo scenario internazionale il premio simpatia, che pure la cultura e il carattere nazionale gli hanno sempre assicurato.

Sempre più, il Brasile sta acquisendo un ruolo di primo piano nelle istituzioni internazionali, grazie a un lavoro diplomatico paziente e meticoloso, di tessitura costante di allenze in tutti gli scacchieri che contano a livello internazionale. Un lavoro che ha visto nel 2011 José Graziano da Silva, già ministro del primo governo Lula, essere nominato direttore generale della FAO, che pone il Brasile in pole position per la conquista di un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU quando la sempre annunciata riforma dell’organismo dovesse concretizzarsi.

L’emergere del Brasile nel panorama mondiale, insieme agli altri paesi BRICS (Russia, India, Cina e Sudafrica), pone poi una questione generale di ridisegno dei meccanismi di governance globale che va al di là della riforma delle Nazioni Unite e del loro Consiglio di Sicurezza. La constatazione che G8, FMI e altre istituzioni analoghe non siano oggi quelle più adatte a governare l’economia mondiale è vecchia quanto lo stesso acronimo BRIC, e con le esitazioni dell’Unione Europea nell’affrontare le gravi difficoltà dell’euro negli ultimi tre anni non ha fatto che diffondersi. La trasformazione di un semplice acronimo in un forum per il dialogo e il coordinamento tra Brasile, Russia, India e Cina, allargato in seguito al Sudafrica, è stata un’iniziativa del governo Lula, con l’obiettivo di esplorare possibili convergenze nelle agende dei rispettivi governi ed eventuali azioni coordinate su temi di carattere economico, in particolare finanziario, che dal 2009 si riunisce con cadenza annuale.

Sullo sfondo di questa evoluzione c’è un fatto innegabile, il Il Brasile è una grande potenza nell’assetto multipolare del XXI secolo, perché possiede le principali risorse della potenza. Una vasta estensione territoriale, una popolazione che sfiora i 200 milioni di abitanti, il 20% delle terre coltivabili del mondo, il più vasto bacino di acqua dolce del pianeta, risorse minerarie, una base industriale ampia e diversificata, sterminate riserve di petrolio scoperte da pochi anni al largo delle sue coste, un sistema politico democratico e plurale.

Di fronte a questo ventaglio di risorse, quello che stupirebbe sarebbe la mancanza di ambizioni globali, non il suo contrario.

Oggi, il soft power brasiliano non cammina più sui pur iconici sandali infradito Havaianas, al ritmo del samba o con la destrezza di qualche asso del calcio, ma si muove sulla spinta di risorse naturali ed economiche che rivendicano un ruolo di supremazia al quale il paese sente di aver il diritto di aspirare.

@diegocorrado @marcoleonardi9

Diego Corrado è autore di BRASILE SENZA MASCHERE. POLITICA, ECONOMIA E SOCIETA FUORI DAI LUOGHI COMUNI, pubblicato ad aprile scorso da Università Bocconi Editore (qui indice e prefazione del libro, di Alberto Martinelli, qui la pagina Facebook del libro)

(nella foto, Mané Garrincha, rivaleggiò per anni con Pelè e insieme a questi divenne Campione del Mondo in Svezia nel 1958 e in Cile nel 1962)

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