Lo tsunami non lo puoi cavalcare con una canoa. È il ragionamento che fa Grillo, definendo “da scemi” la delega di Ministro alle Pari Opportunità, Sport e Politiche Giovanili a Josefa Idem. Non sono stati giorni facili per il M5S. Reduce dal tira e molla sulla diaria, che ha trasformato le granitiche certezze della campagna elettorale in balbettii imbarazzati nel post elezione, il movimento si ritrova a rincorrere se stesso sui soldi, proprio come un partito qualsiasi.
Grillo lo sa che proprio su quello si gioca tutto, perché i milioni di elettori dei cinque stelle possono perdonargli tutto, che i grillini eletti non presentino disegni di legge, che non ci sia democrazia interna, che si facciano guidare dalla longa manus di Casaleggio. Ma non possono perdonargli che si tengano i soldi che hanno promesso di ridare indietro.
Perché alla base del loro successo non vi è cos’hanno promesso di fare, ma cos’hanno promesso di non essere, ovvero uguali ai politici della casta che non mollano nemmeno un centesimo dello spropositato stipendio da parlamentare.
Un altro duro colpo per il M5S arriva con l’ultima puntata di Report. Paradosso dei paradossi, è proprio la trasmissione condotta dalla vincitrice delle quirinarie grilline a porre l’attenzione sulle zone d’ombra dei ricavi del blog di Grillo e ad invitare il movimento a discutere dei disoccupati e non degli scontrini.
Sul web si scatena una guerriglia ma è chiaro che il colpo è forte, anche perché al di là dei tanti militanti duri e puri che ricoprono di insulti la traditrice (di cosa, poi?), ci sono moltissimi elettori che hanno visto in maniera meno viscerale e più ragionata una diversità (il non essere, appunto) e la possibilità di un cambiamento nel M5S. E dopo il walzer sulla diaria, vedere il movimento messo alla stregua degli altri partiti qualche effetto lo avrà avuto.
Con le amministrative alle porte la posta in gioco è alta, perché ai diversi autogol del movimento e dei suoi cittadini eletti, si aggiunge una criticità strutturale del M5S nel voto delle amministrative, dove l’effetto-traino del simbolo e il marchio di garanzia legittimante di Grillo si scontra con altre dinamiche, come il voto di preferenza e il peso del profilo individuale di ogni candidato.
Grillo sa bene che è lui e solo lui l’unico in grado di decidere il destino del M5S, così come ha chiaro che per coprire le cadute dei suoi deve rinvigorire, ogni giorno, l’attacco verso i nemici esterni: l’inciucio PD-PDL, le scelte del governo, i ministri.
Ebbene, nel momento più complicato per il movimento arriva l’assist che non ti aspetti, il salvagente che ti salva proprio quando cominci ad essere in difficoltà: la proposta di legge per impedire la partecipazione alle elezioni a quei movimenti senza uno statuto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Non contano le finalità reali del ddl, conta l’effetto che ha avuto: ridare ossigeno al M5S, rinserrare le fila, permettergli di concentrarsi di nuovo sul nemico esterno. Tempismo perfetto per un suicidio comunicativo. Chissà, forse sarebbe stato più efficace attaccare il M5S non perché non è un partito ma perché si comporta come se lo fosse.
Grillo così potrà dire ancora una volta: noi sbagliamo ma gli altri sono sempre peggio di noi. Soprattutto se viaggiano in canoa.