“Teaching in English – Let’s to do it”.
Così, martedì 21 Maggio titolava la sua prima pagina il quotidiano francese Libération, per occasione tutta in lingua inglese. Ovviamente, è stato scalpore e scandalo per una buona parte di Francesi, popolo geloso delle proprie tradizioni linguistiche. Sciovinista, appunto, tanto da chiamare ordinateur il pc e reseau il web o da cambiare gli acronimi internazionalmente riconosciuti, dicendo Sida anziché Aids, oppure Otan anziché Nato, giusto per fare qualche esempio.
Il quotidiano gauchiste aveva già sposato apertamente la proposta del ministro dell’Istruzione superiore e della ricerca, Genèvieve Fioraso, che prevede l’insegnamento in università di alcune materie in lingua inglese, con l’obiettivo, ha spiegato, di attrarre negli atenei francesi studenti stranieri e preparare al meglio quelli transalpini.
Libération ha apostrofato gli oppositori “come gli ultimi rappresentanti di un villaggio gallico assediato”.
Il dibattito nel mondo della cultura francese è aspro come lo è stato, in parte, nel nostro Paese quando il Politecnico di Milano, proprio alla vigilia del 150º dalla fondazione, sotto la spinta coraggiosa del rettore Giovanni Azzone, ha deciso di tenere in inglese tutti i corsi delle lauree magistrali dal 2014.
Contro la decisione, un centinaio di docenti presentò addirittura ricorso al Tar e, a intervalli regolari, gli strenui difensori della lingua italiana sono pronti a vibrare di indignazione.
L’editoriale di Liberation si chiede se il vero scandalo non sia l’intrusione della lingua inglese nelle università, ma “l’intollerabile mediocrità dei francesi nella lingua di Shakespeare”.
E l’università italiana è pronta a sprovincializzarsi? Siamo decisi a mettere in campo politiche concrete che colmino uno iato, non più sostenibile, di conoscenza della lingua del mondo con gli altri Paesi industrializzati?
Se l’università vuol essere veicolo di libertà e mobilità sociale, l’inglese ne rappresenta un volano formidabile.
Un aiuto, non solo a modernizzare questo Paese, ma a dare opportunità concrete alle migliaia di laureati che ogni anno si affacciano ad un mercato del lavoro, sempre più internazionale e sempre più competitivo. Oggi la competenza linguistica è prima di tutto strumento per la mobilità globale e quindi per maggiori possibilità di scelta. Solo ciò varrebbe a sposare l’idea.
E non è un caso che dalle famiglie o dagli studenti, qui come in Francia, siano arrivate poche critiche all’idea. Probabilmente sono gli unici ad avere lampante che, oggi più di ieri, ogni possibilità aggiuntiva è un valore prezioso.
“Just to make a point”, così si concludeva l’editoriale della prima pagina di Libé. E allora facciamolo anche da noi.