Città invisibiliLa “medicina” di Renzo Piano

“L’architettura è si l’arte di dare risposte ai bisogni reali, ma è anche l’arte di dare risposte ai sogni della gente … Se viene a mancare la parte etica, la parte che risponde ai bisogni della ge...

“L’architettura è si l’arte di dare risposte ai bisogni reali, ma è anche l’arte di dare risposte ai sogni della gente … Se viene a mancare la parte etica, la parte che risponde ai bisogni della gente, è un tradimento”. A pronunciare queste parole, Renzo Piano, ricevendo nel 2011 il premio Nonino dedicato a un “maestro del nostro tempo”. Anche per questo motivo “il più grande architetto del mondo” come lo ha definito l’ “Indipendent”, in occasione dell’inaugurazione di quella cattedrale di cristallo che è l’ala moderna dell’Art Institute di Chicago nel 2009, continua a far parlare di sé. Dando corporea forma a quella simbiosi di sogni e realtà. Disegnando e realizzando architetture. Che spessissimo si trasformano in paesaggi. Sperimentando le più diverse tipologie. Musei, Centri Culturali, aeroporti, piazze e grattacieli. Ed anche luoghi di cura e di ricerca medica.
Su questo tema, sull’impegno della medicina e gli aspetti più tecnici della scienza e quelli più umani, Piano si sta impegnando da tempo. Degli anni Settanta è l’unità ospedaliera progettata con Rogers per l’Association for Rural Aids in Medicine. Del 2000 lo studio di un modello di ospedale da applicarsi in tutta Italia, prendendo le mosse dal programma dell’allora ministro della salute Umberto Veronesi. Il risultato di questa lunga riflessione sono tre progetti che rispondono a ciascuno di quegli aspetti, con modalità di rappresentazione evidentemente differenti anche in relazione al luogo per il quale è stato pensato. A New York il Mind & Brain Beaviour nel recinto della Columbia University. A Milano la nell’area Falk di Sesto San Giovanni. Infine, in Uganda, sulle sponde del lago Vittoria, un piccolo centro pediatrico per Emergency.

Il nuovo cui sta lavorando Piano sulla 125strada a Manhattan dovrà riflettere sulla nozione che lo studio scientifico del cervello e dei comportamenti ha legami assai stretti con altri campi di ricerca. Vi lavoreranno, fianco a fianco, economisti, ricercatori medici e artisti. Questo tipo di convergenza di saperi diversi aiuterà a comprendere con più efficacia e precisione il carico neurologico dei malati di Alzheimer e di Parkinson.
All’estremo opposto del laboratorio americano, il piccolo progetto per i sessanta bambini africani di Emergency rappresenta la conversione sociale e umanitaria dei progressi della ricerca scientifica.
Il terzo progetto, il polo ospedaliero di Sesto, concentra in un’unica area due eccellenze della sanità lombarda. L’Istituto dei tumori e il neurologico Besta. Un luogo da un non luogo. La “fabbrica della salute” che prende il posto di una fabbrica abbandonata del secolo scorso. Rifuggendo dal gigantismo, presupposto spesso di poca attenzione alla persona, il nuovo edificio è stato volutamente progettato da Piano creando una comunicazione al primo piano, tra esterno ed interno. Abbandonando l’idea dei Padiglioni ottocenteschi si è scelto di non andare oltre il terzo piano. L’ospedale ha circa 700 posti letto, ma prevede la possibilità di ospitare piccoli nuclei di familiari. Soprattutto, le stanze sono solo a due letti.
Piano prosegue la sua ricerca. Inseguendo la possibilità di far nascere un’architettura che sia innanzitutto un luogo civico. Un luogo di incontro. Dal punto di vista architettonico questo approccio si traduce nella creazione di spazi nei quali sono presenti due costanti. Un piano terra come luogo di transito e di mescolanza. Delocalizzare le funzioni specialistiche a otto, dieci metri sopra al suolo.
“Non credo che la scienza possa proporsi altro scopo che quello di alleviare la fatica dell’esistenza umana” fa dire a Galileo Bertold Brecht nella Vita dello scienziato. La scienza è una forma di fede laica. Che cerca di promuovere il benessere della società. Questo il fine di Piano. Da quanto si vede pienamente raggiunto. Ovunque vi abbia posto mano.

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