Ljubljana deve convincere Bruxelles che ce la farà da sola senza fare ricorso al bailout. Il 9 maggio è la data stabilita per presentare all’UE il pacchetto di riforme che dovrebbe permettere al Paese di fare fronte alle proprie difficoltà finanziarie. Se fino a ora rifinanziarsi non è sembrato un problema, le misure decise dal governo Bratušek hanno fatto discutere: per l’ex premier, Janez Janša, “non sono sufficienti”. E chiede l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione.
La Slovenia per ora si salva … con i dollari. L’ultima asta dei bond sloveni, a inizio mese, è andata oltre le più rosee aspettative. Tutto venduto: 3,5 miliardi di dollari, nonostante il downgrade di Moody’s che aveva deciso di portare il rating del Paese a livello speculativo. L’agenzia aveva preso la propria decisione sulla base del “pessimo stato del settore bancario”; del “deterioramento delle condizioni dei conti pubblici di Ljubljana” e della “difficoltà che questa avrebbe avuto a rifinanziarsi sui mercati”. I tassi di rendimento dei titoli sloveni sono rimasti tutto sommato a livelli contenuti e sostanzialmente inalterati dopo la “stroncatura” dell’agenzia di rating: 4,75% per i titoli quinquennali; 5,85% sui titoli decennali. Il successo dell’asta slovena è stato talmente grande (e forse, inaspettato) che “Finance”, quotidiano economico di Ljubljana, poteva intitolare soddisfatto: “Moody’s, vergognati”.
L’Europa concede più tempo, ma le riforme sono necessarie. La Slovenia, grazie alla liquidità rastrellata con quest’ultima emissione, potrebbe avere le risorse per “rimanere a galla” un altro anno. La Commissione Europea sta valutando la possibilità di concedere a Ljubljana la possibilità di sfondare, per un anno in più, i limiti imposti da Maastricht al deficit di bilancio (quest’anno dovrebbe aggirarsi, secondo le stime, attorno al 5,3% del PIL – 4,9% il prossimo anno). Lo deciderà, però, sulla base del piano che il premier Bratušek presenterà il 9 maggio a Bruxelles.
Privatizzazioni e austerità. Per ora, nella mente della maggioranza di governo e nel documento che sarà presentato a Bruxelles, i punti principali per uscire dalla crisi non prevedono grandi cambiamenti rispetto alle politiche previste dal governo precedente: si continua a parlare di un aumento dell’Iva e di nuove privatizzazioni (della principale compagnia telefonica del Paese e della seconda maggiore banca slovena, la Nova Kreditna Banka Maribor). In più, è stato introdotto il “debito di crisi”, ovvero un prelievo forzoso dell’uno per cento su tutte le buste paga, e nuove tasse sugli immobili.
No alla “golden rule” in Costituzione. Su due punti la politica però non è compatta, ovvero sulla modifica della Costituzione slovena per introdurre la norma del pareggio del bilancio, e per modificare (in senso restrittivo) la disciplina sul referendum: la possibilità per i cittadini sloveni di fare ricorso alla consultazione popolare è stata giudicata in passato da più parti “eccessivamente permissiva”. Occorre rivederla, soprattutto secondo i socialdemocratici di Janša, così come è necessario introdurre al più presto il dogma del pareggio di bilancio nella massima carta slovena: una misura necessaria a tranquillizzare gli investitori internazionali, ma che per Bratušek non è realizzabile “prima del 2017”. I cittadini, in compenso, hanno già annunciato nuove proteste: la Costituzione, senza consenso popolare, non va toccata.