“L’unica spiegazione è la follia”. Le parole di un amico di Fabiana Luzzi, la ragazza uccisa dal fidanzato a Corigliano Calabro, sono l’espressione di un pensiero diffuso. Come può – si chiedono in molti – una persona che non sia malata di mente prendere in considerazione di uccidere una sedicenne indifesa, e in quel modo disumano? Se anche le prime coltellate fossero dovute ad un raptus violento di gelosia, come può non essere figlia della follia la decisione di procurarsi della benzina per darle fuoco ancora viva?
Se sarà richiesta una perizia psichiatrica ovviamente se ne dovranno attendere gli esiti per avere qualche certezza. Ma, purtroppo, l’assassino di Fabiana potrebbe anche essere una persona “normale”, quantomeno sana di mente. La follia, specie ai fini della legge, è una condizione specifica che non può essere estesa a tutte le situazioni.
Un conto è se un soggetto – per fare un esempio di cui si è parlato di recente – brandisce un piccone e senza movente alcuno inizia ad abbattere innocenti passanti. Un altro conto è se un uomo uccide la propria donna, o un ragazzo la propria ragazza, perché accecato dalla gelosia. Il secondo caso è sfortunatamente abbastanza diffuso nella casistica giudiziaria e spesso non necessita di alcuna infermità psichiatrica per essere spiegato.
Le radici dei crimini di gelosia stanno molto spesso nell’educazione ricevuta, nel contesto sociale in cui si vive, nei valori a cui si viene abituati. Quanto alle modalità efferate del delitto, è possibile che si tratti della classica spirale verso il basso, in cui per cancellare un male se ne compiono altri sempre peggiori. In questo caso forse la prima coltellata è partita d’istinto, senza premeditazione. Le altre sono seguite per eliminare il testimone della prima, e il fuoco infine per cancellare qualsiasi prova.
Per spiegare tutto questo orrore non serve la follia (che pure non si può escludere a priori). E se fosse dimostrata la piena capacità di intendere e volere dell’assassino, sarebbe sbagliato insistere nel voler giustificare l’accaduto con un’infermità mentale postulata. Nello specifico si imboccherebbe una strada sbagliata per la rieducazione del colpevole, che non deve essere una “cura” a base di farmaci ma un vero e proprio percorso di ricostruzione dei valori e della mentalità della persona (certo, anche attraverso l’elemento punitivo della pena). Più in generale si rischierebbe di porsi su un pericoloso piano inclinato.
Se infatti tutti i reati gravi diventano de facto sintomo di pazzia, allora addio libero arbitrio dei criminali. A quel punto la rieducazione tanto varrebbe farla con la “cura Ludovico” in perfetto stile Arancia Meccanica.