Alessandro Trocino
Corriere della Sera, 30 maggio 2013 | 11:30
«Non voglio dire che lo prevedevo. Ma non sono affatto sorpreso». Stefano Rodotà è uno dei personaggi politici più amati dal Movimento 5 Stelle, che lo avrebbe voluto al Quirinale. Ora analizza, senza fare sconti, un risultato che è andato ben al di sotto delle aspettative.
Perché non è sorpreso?
«Per due ragioni. La prima è politica: hanno inciso sul voto i conflitti, le difficoltà e le polemiche di queste settimane. La seconda è che avevo detto che la parlamentarizzazione dei 5 Stelle non sarebbe stata indolore. E così è stato».
Il passaggio dalla rete al Palazzo, per intenderci.
«Faccio una battuta: quando si lavora in Parlamento, non è che di fronte a un emendamento in commissione vado a consultare la rete. Serve un cambiamento di passo».
Che non c’è stato.
«La rete da sola non basta. Non è mai bastata. Guardiamo l’ultima campagna elettorale: Grillo è partito dalla rete, poi ha riempito le piazze reali con lo tsunami tour. Ma ha ricevuto anche un’attenzione continua dalla televisione. Se si vuole sostenere che c’è una discontinuità radicale con il passato non è così: anche per Obama è stato lo stesso. Si parte dalla rete, ma poi si va oltre».
Il problema è che forse non sono andati abbastanza oltre.
«Non hanno capito che la rete non funziona nello stesso modo in una realtà locale o su scala nazionale. Puoi lanciare un attacco frontale, ma funziona solo se parli al Paese. In queste elezioni hanno perso i due grandi comunicatori: Grillo e Berlusconi».
Alle Amministrative, poi, contano molto i candidati.
«Sono stato molto colpito dalle dichiarazioni avventate del candidato 5 Stelle di Roma: si è lamentato perché i media non gli avevano dedicato abbastanza attenzione. Ma come? Non era stata teorizzata l’insignificanza dei vecchi media?».
Forse a qualcosa servono ancora.
«Come serve l’insediamento a livello locale. Il candidato sconosciuto della rete si trova in difficoltà rispetto a chi ha una forte presenza territoriale. Non è un caso che il partito che ha tenuto di più in queste elezioni sia stato il Pd, nonostante la forte perdita di voti».
Per Grillo è colpa degli elettori.
«L’ho sentita troppe volte questa frase. Elettori immaturi, che non capiscono. Si dice quando si vuole sfuggire a un’analisi. Ma erano gli stessi elettori che li hanno votati alle Politiche. È una reazione emotiva, una spiegazione che non spiega nulla».
Per i 5 Stelle non sono «padri» un po’ ingombranti Grillo e Casaleggio?
«Non voglio fare quello con la matita rossa. Però, certo, non bastano più le loro indicazioni. Un movimento nato dalla rete, che ha svegliato una cultura politica pigra, una volta entrato in Parlamento deve cambiare tutto. E non può dire ai parlamentari: non dovete elaborare strategie».
È proprio quello che ha detto il capogruppo Vito Crimi.
«Le istituzioni fanno brutti scherzi. Penso alle parole di Grillo che contestava l’articolo della Costituzione secondo il quale il parlamentare deve operare senza vincolo di mandato. Ecco, io credo che tutti i parlamentari dovrebbero avere la libertà di esercitare il proprio mandato, anche se non in una logica individualista. Non si può delegare tutto. I parlamentari a 5 Stelle devono avere la libertà di lavorare. In alcuni casi lo stanno già facendo e ho sentito anche interventi di qualità».
Il risultato deludente non è stato causato anche da un eccesso di chiusura e dalla mancanza di interlocuzione con il Pd?
«Posso anche stabilire la linea del “tutti a casa” e “no a tutti”, ma poi devo valutare le conseguenze. Si deve avere la capacità di confrontarsi con gli altri in Parlamento. Altrimenti si rischia di alimentare una nuova conventio ad escludendum . E probabilmente c’è anche un problema di inesperienza».
La «verginità» politica è nel dna dei 5 Stelle.
«Non ho mai creduto al valore dell’inesperienza, che rivendicano come verginità dalle compromissioni. Io ci misi molti mesi a imparare. Il Parlamento richiede competenza. So che stanno cercando di rimediare con bravi consulenti».
E ora?
«Ora Grillo e Casaleggio devono rendersi conto che siamo entrati in una fase nuova e che quello che ha determinato il successo non è un ingrediente che può essere replicato all’infinito. Per esempio: alle Europee cosa faranno? Una campagna fortemente antieuropeista, come Berlusconi? Sarebbe un rischio enorme. Cresce enormemente la responsabilità della sinistra».
Che non sta messa bene.
«Capisco il sollievo del Pd per il voto, ma ci sono problemi che non si cancellano con un’interpretazione consolatoria. Il Pd è un pezzo fondamentale della sinistra, ma non è tutta la sinistra. E deve guardare anche alla società. Il referendum di Bologna, per esempio: c’era una maggioranza schiacciante, sulla carta, per il finanziamento alle scuole private. E invece questa maggioranza è stata spazzata via».
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LA REAZIONE DI BEPPE GRILLO
“Dopo le elezioni comunali parziali che storicamente, come qualsiasi asino sa, sono sempre state diverse come esito e peso rispetto a quelle politiche, c’è un fiorire di maestrini dalla penna rossa. Sono usciti dalle cantine e dai freezer dopo vent’anni di batoste e di vergogne infinite del loro partito, che si chiami pdmenoelle o Sel, non c’è differenza. In prima fila persino, con mio sincero stupore, un ottuagenario miracolato dalla Rete, sbrinato di fresco dal mausoleo dove era stato confinato dai suoi a cui auguriamo una grande carriera e di rifondare la sinistra”.
I maestrini della penna rossa (post)