La neoministra dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, ci va coi piedi di piombo. Sollecitata dalla stampa, ha auspicato “un dibattito nel mondo intellettuale e nel mondo della scuola” (qui il video di TimeNews).
Carrozza sa che il terreno dei test Invalsi – scattati in questi giorni con il coinvolgeranno di oltre mezzo milioni di studenti delle scuole superiori italiani – è un campo che definire minato è dire poco.
E’ comprensibile dunque che l’ex-rettore della Scuola S.Anna di Pisa, oggi inquilino principale in Viale Trastevere, sede del ministero dell’Istruzione, sia prudente e che non si metta, appena arrivata, a pestare i calli della Cgil, forse la più decisa nemica dei test (più delle organizzazioni degli studenti medi come l’Unione degli studenti-Uds). Giusta la sua apertura alle critiche e la sua disponibilità a mettere in discussione i meccanismi dei test. Però alcune considerazione che ha fatto, anche queste riportate dalle cronache, fanno pensare.
Carrozza ha quasi minimizzato l’impatto delle prove, sottolineando che quello somministrato “è un test di valutazione utilizzato per finalità conoscitive per capire la situazione della scuola e le peculiarità territoriali” e ha pure aggiunto che l’impatto attribuitogli “va ridimensionato”.
Già ma il problema vero della querelle Invalsi non è stato l’appropriatezza dei test, anche se la critica alla “deriva quizzarola”, è quella che risuona stancamente nell’impuntature di questo e di quello, e fra gli indignados della docenza che, in questi giorni, dichiarano di volersi sottrarre alle prove stesse o di cooperare, nelle loro classi, ma del tutto obtorto collo .
I test Invalsi saranno sempre perfettibili come qualsiasi strumento e, considerata la ricca tradizione pedagogica italiana, ci sarà sempre sull’argomento una dialettica che è facile prevedere vivacissima.
Il punto è che, dietro la critica spietata al mezzo, si cela un fine non dichiarato: dire no alla valutazione tout court. L’attacco senza quartiere alle prove che non misurerebbero efficacemente le competenze degli allievi è visibilmente, almeno per alcuni, il tentativo di “difendere” a priori la classe docente dai processi di valutazione. Di sottrarla preventivamente.
La valutazione dei risultati formativi degli alunni, secondo alcune frange sindacali, è chiaramente l’anticamera alla valutazione degli insegnanti. Anzi lo è già e nemmeno troppo surrettiziamente.
Per questo la ministra Carrozza deve essere consapevole che cedere sui test Invalsi – non nel merito del loro contenuto ma sull’idea stessa della loro forma – significa che, quel briciolo di valutazione introdotto, appunto sul livello di preparazione degli studenti, venga spazzato via.