Che fine ha fatto Aquis? Qualcuno ricorderà certo l’Associazione per la qualità delle università italiane statali, lanciata nel 2008 a Bologna, non senza una certa enfasi.
Ne faceva parte un gruppo di università di qualità, secondo criteri che si erano scelte. Non che fossero forche caudine: si trattava di avere un costo del personale non superiore al 90% della quota di Fondo di finanziamento ordinario-Ffo ricevuto dal ministero, d’avere più di 15mila studenti e d’essere classificate (senza limiti di posizionamento) in almeno un ranking internazionale ma, nel caso, si citavano solo Shanghai e Times Higher Education.
L’idea fu essenzialmente guidata da alcuni grandi atenei come Padova, Bologna e le milanesi Bicocca e Politecnico, soprattutto per tentare un blitz contro la solita tendenza ministeriale di finanziare in base al costo storico, vale a dire di perpetuare le quote di finanziamento con riferimento alle uscite di bilancio dei singoli atenei, negli anni precedenti. Con l’arrivo al ministero di Mariastella Gelmini, politico, che prometteva una gestione premiale dei finanziamenti, quel nucleo di atenei cerco di creare un gruppo di pressione, una lobby buona che, ricordiamolo, mise in seria difficoltà anche la Conferenza dei rettori-Crui.
C’era poi uno scopo difensivo: in quei giorni prese il via sulla stampa nazionale una campagna livorosa contro gli atenei, approdata presto persino nei talk-show, e che faceva leva sulle inefficienze e sul familismo (veri o spesso presunti) della nostra accademia. Aquis volle prendere le distanze dal corpaccione della nostra università, rivendicando per i propri aderenti un profilo dinamico e di qualità appunto.
E per la verità qualche ateneo prese le distanze da Aquis: la Statale di Milano, per esempio, pur avendone i requisiti preferì non mescolarsi.
Come andò a finire la storia di ministero Gelmini è a molti noto: la gestione premiale del Ffo fu introdotta negli ultimi tre anni ma riguardò una quota tutto sommato risibile del fondo: si partì dal 7%, ancorato alle performance di ricerca (4%) e didattica (3%), per incrementare, ma abbastanza stancamente, nei due anni successivi. Nessuna rivoluzione copernicana insomma.
Oggi il sito dell’associazione è abbandonato, inchiodato a una lettera indirizzata alla stessa Gelmini nel febbraio del 2009. Simboleggia quello che Aquis probabilmente fu: un’occasione sprecata e forse la testimonianza di un certo italico provincialismo: quello delle mobilitazioni estemporanee, degli annunci a cui non si riesce a dar corso, degli spauracchi agitati.
Una cosa triste come i temporary shop, i negozi temporanei, che le azienda mettono su avvicinandosi le festività. Due e mesi per puntare alle tredicesime e poi via: arrivava il camion dei traslochi.